massa critica | davide tommaso ferrando sceg
Per questo nuovo episodio dei nostri dialoghi critici ho avuto modo di incontrarmi/scontrarmi con Stefano Carera: giovane coautore, insieme a Eirini Giannakopoulou, Hilario Isola e Matteo Norzi, del WatAIR Pavillon – progetto menzionato nel concorso PFFF Inflatable Architecture Competition, organizzato da CityVision e FARM Cultural Park.
Sebbene il progetto sia indubbiamente interessante, soprattutto in virtù della sua chiara tensione verso una ricercata semplicità (un’idea, un materiale), non ho potuto esimermi dal riscontrare una serie di “crepe” nei ragionamenti proposti dal gruppo di progettazione: crepe che ho ritenuto necessario esplicitare (come sempre, in maniera secca ma argomentata), e attorno alle quali si è sviluppato un serrato confronto con Stefano, che ha avuto la pazienza di sottomettersi e rispondere per iscritto alle mie provocazioni.
Se dovessi fornire una valutazione sintetica di questo progetto, analizzandolo nella sua complessità (dal processo alla forma), affermerei che, seppur trovato un tema progettuale forte e interessante (come si può dare una forma all’aria?), Stefano e i suoi compagni si sono lasciati “corrompere” da una serie di logiche tipiche della produzione architettonica contemporanea – tra cui, soprattutto, l’innamoramento per una forma, o un’immagine, previa e l’eccesso di retorica – che, a conti fatti, ne hanno indebolito la proposta progettuale. Risulta comunque lodevole lo sforzo compiuto per indagare il difficile materiale (l’aria) scelto per il progetto: estremamente interessante, in questo senso, il ricorso all’acqua come medium in grado di “forzare” in una forma descrivibile l’altrimenti inosservabile materia.
Ringraziando Stefano per la segnalazione e per lo scambio di punti di vista, auguro a tutti una buona lettura, tanto della scheda progetto (qui di seguito) quando dei nostri primo e secondo botta-e-risposta.
DTF
L’aria ha una forma precisa, definita, rigorosa, matematica. Tuttavia una forma intangibile, invisibile. Per esplorarla e capirla siamo entrati nell’acqua provando a ridisegnare le forme che si generano respirando.
Gli spazi trovano inspirazione dall’astratta forma delle bolla, schematizzata e stilizzata attraverso sintesi geometrica e matematica. La composizione lineare di ellissi ad orientamento verticale con ellissi ad orientamento orizzontale inscritti nel cerchio, vuole evocare le differenti fasi della bolla d’aria in ascesa verso la superficie dell’acqua.
Il padiglione, attraverso queste considerazioni, ambisce a descrivere con le sue geometrie gonfiabili diversi istanti di vita della bolla d’aria. Un muro di aria contenuto in una doppia pelle (l’esterno continuo e trasparente; e l’interno opaco e con brevi “pause”) definisce uno spazio introverso, che nega il rapporto visuale con il territorio circostante lasciando solo alcune “finestre” filtrate da uno schermo e invita a rivolgere lo sguardo in alto, verso il cielo. Da fuori i livelli di plastica danno alla vista frontale diffusione, oltre che materialità rendendo la vista verso alto ancora più leggera e libera.
Sette ordini tubolari sono uniti da specifiche cuciture, perpendicolari ai loro raggi; riconoscibili in sezione, si aggregano a definire lo spazio ellittico interno. Il primo, a contatto con il suolo, è di dimensioni inferiori con diametro di 45 cm. È riempito d’acqua in modo da garantire la stabilità di tutta la struttura pneumatica, oltre che creare una seduta continua per circa 30 persone, definendo uno spazio centrale libero per eventi, conferenze, ecc.
L’alzato interno del padiglione si propone anche per ospitare eventi ed esibizione sospese, come anche proiezioni sulla neutra superficie perimetrale. Non sono previsti suolo e copertura, infatti il padiglione non ha chiusura sul soffitto, né pavimentazione propria. La forma così definita lavora come un “canale” che mette sempre in relazione l’aria del cielo superiore con la superficie del terreno esistente, contrastando il colore del cielo con le diverse sfumature dei diversi territori. Questa scelta va letta come volontà di sottolineare la flessibilità d’utilizzo e la possibilità di integrazione con il contesto in cui viene di volta in volta installato.
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