[omissis] | davide tommaso ferrando
Originality is increasingly seen as located in the image.
Walter Benjamin, in his seminal “The work of art in the age of mechanical reproduction”, was one of the first scholars to foresee the impact of technology, of culture and of visual culture on society. […] One of the essay’s major claims, that the reproduction of an art work diminishes its aura, was put to the test by the passage [in the second half of the XX century] to a post-Fordist order. […] Post-industrial society has countered this challenge in a number of ways. First, it reacted to standardization by over-valuing the original, as in hand-made products: once a majority of objects was mass-produced, the singular object becomes evermore valuable. Second, a relative originality developed by which a mass-produced object could still be seen as unique as long as it is less available than other mass-produced objects. Third, originality is increasily seen as located in the image, in the “object idea” or brand rather than in the material product, enabling mass-produced objects to be imbued with originality. Originality, difference and authenticity are all objectives of consumer society. […]
These developments sever the relation between the perceived uniqueness of the product and its means of production. The meaning of “original” transformed from a one-off object to which all copies refer, to a relative originality and, in turn, to something quite different – to a unique image or idea. […]
Thus, in the recent past, a developer could boast of “unique” mass-housing, comparing a cluster of houses that were marked via form or material as different from their more mundane surroundings. Now, a developer can introduce such marginal differences into the set of serial houses itself, offering difference also within these houses. This, of course, remains within the realm of marginal differences, differences that have little impact on the product, but represent wider possibilities of applying such marginal differences on a micro level. […]
However, as “difference” proliferates, “difference” itself loses something of its value. Increasingly, buildings which would have been revered a decade earlier draw less and less applause: […] once “difference” is everywhere, once it can no longer be measured against “blandness”, “difference” is itself diminished.
TAHL KAMINER, Architecture, Crisis and Resuscitation. The reproduction of post-Fordism in late-twentieth-century architecture, Routledge, New York 2011, pp. 169-70.
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L’autenticità non ha valore; l’originalità non esiste.
Non esiste nulla di originale. Rubate da tutto ciò che entra in risonanza con la vostra ispirazione o che alimenta la vostra immaginazione. Divorate film vecchi e nuovi, musica, libri, dipinti, fotografie, poemi, sogni, conversazioni casuali, architettura, ponti, cartelli stradali, alberi, nuvole, masse d’acqua, luci e ombre. Selezionate le cose da cui rubare solo se parlano direttamente al vostro cuore. Se farete così, il vostro lavoro (e il vostro furto) sarà autentico. L’autenticità non ha valore; l’originalità non esiste. E non perdiate tempo a occultare il vostro ladrocinio – anzi, celebratelo se vi va. In ogni caso, ricordate sempre ciò che disse Jean-Luc Godard: “Non conta da dove le cose vengono prese, ma dove vengono condotte”.
JIM JARMUSCH, Jim Jarmusch’s Golden Rules, in “MovieMaker Magazine”, MovieMaker Publishing, 2009.
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Partire con l’ossessione dell’originalità è atteggiamento incolto e superficiale.
Credo che l’apprendistato, in architettura, significhi esattamente un allargamento dei riferimenti. Quando si comincia, c’è quasi sempre una figura carismatica che ci interessa in modo particolare e, conseguentemente, ci influenza in maniera determinante. Molte volte, inoltre, l’ambiente scolastico favorisce una propensione al formalismo.
Ritengo possibile l’individuazione dei riferimenti di un’opera, ma la difficoltà sarà enorme se l’opera è matura, perché non ci sarà una sola relazione, bensì molte. L’articolazione di queste influenze è un atto di creazione irripetibile. L’architetto lavora manipolando la memoria, non ci sono dubbi, coscientemente ma molto più spesso inconsciamente. La conoscenza, l’informazione, lo studio degli architetti e della storia dell’architettura tendono o devono tendere ad essere assimilati, fino a perdersi nell’inconscio o nel subcosciente di ciascuno. […]
L’esercizio dell’osservazione è prioritario per un architetto. Quanto più osserviamo, tanto più chiara apparirà l’essenza di ciascun oggetto. Questa si consoliderà come conoscenza vaga, istintiva. […]
C’è tutta una serie di processi fondamentali di cui, in qualche caso, nemmeno abbiamo conoscenza. Mi succede, alle volte, che mi facciano notare un determinato aspetto di un’opera, che risulta assolutamente evidente ma di cui non avevo consapevolezza. Ho progettato, ad esempio, una scuola a Setubal, nel Sud del Portogallo, a poche decine di chilometri dallo straordinario santuario di Cabo Espichel, che conosco molto bene. Qualcuno ha notato l’influenza, molto evidente, del santuario sulla scuola e improvvisamente ne ho avuto coscienza: era vero per molti aspetti, perfino per le proporzioni. Si tratta di influenze che si manifestano nel subcosciente e che entrano nel progetto senza rendercene conto. Invito spesso gli studenti a viaggiare e ad osservare con attenzione. Imparare a vedere è fondamentale per un architetto, c’è un bagaglio di conoscenze a cui inevitabilmente ricorriamo, perché nulla di quanto facciamo è assolutamente nuovo. […]
Partire con l’ossessione dell’originalità è atteggiamento incolto e superficiale.
ALVARO SIZA, Immaginare l’evidenza, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 23-25, 127, 133.
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