Il primo bivacco alpino di ultima generazione, estrema sintesi di comfort, sicurezza e rispetto dell’ambiente, è stato installato in ottobre a quota 2835 m sul ghiacciaio del Freboudze sotto la spettacolare parete Est delle Grandes Jorasses nel Monte Bianco. La nuova “Capanna Gervasutti”, commissionata dal CAI di Torino e fortemente voluta dalla Scuola e dalla Sottosezione SUCAI, è quindi diventata realtà grazie alla collaborazione tra il CAI e il gruppo di lavoro coordinato dai progettisti Luca Gentilcore e Stefano Testa.
I moduli sono progettati e costruiti sulle esigenze specifiche dei committenti e possono essere personalizzati in base al luogo in cui andranno posizionati, in sintonia con l’ambiente circostante, in piena coerenza con lo spirito di adattabilità e di sostenibilità della mission di LEAP.
Verrà inaugurato la prossima primavera, pronto ad accogliere i primi visitatori nella successiva stagione alpinistica.
La realizzazione del “Gervasutti” ha costituito un successo, in quanto si tratta di un progetto innovativo con materiali di alto livello e tecnologie sofisticate, in grado di affrontare le sollecitazioni importanti dell’alta quota e ridurre al minimo tempi e costi di installazione.
I moduli LEAP sono interamente prefabbricati, trasportabili con un elicottero di medie dimensioni e installabili rapidamente senza modificare il suolo naturale con opere permanenti.
I moduli LEAP sono concepiti per funzionare in totale autonomia, dotati di sistemi di produzione di energia pulita, sistemi di autodiagnosi funzionale, dispositivi sanitari indipendenti.
La zona giorno è illuminata da una grande finestra panoramica rivolta verso valle, e contiene una cucina, un tavolo e delle sedute. L’area notte è fornita di letti a castello e ripostigli.
La stazione di monitoraggio integrata controlla e processa le condizioni atmosferiche esterne ed il confort interno al rifugio, trasmettendone i dati via Web. Tutti gli apparati elettrici sono alimentati dai pannelli fotovoltaici integrati alla scocca esterna.
La vivace colorazione esterna, facilmente visibile dalla larga distanza, fornisce un riconoscibile punto di riferimento agli alpinisti in avvicinamento.
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Ciao.
Non muovo nessuna critica dal punto di vista tecnologico, ma riguardo l’impatto paesaggistico ho alcuni dubbi.
Senza offesa, mi ricorda un pezzo di fusoliera di un aeroplano che si è appena schiantato sulle montagne…
Poi al di sopra dei 1600 m non è richiesto il parere della soprintendenza per i beni ambientali (lg Galasso 8 agosto 1985, n.431)? Ha avuto l’ok?
Ciao
Caro Marco,
visto che ce l’ho sottomano per altre ragioni, e visto che chiami in causa il tema del “paesaggio”, aggiungo altra legna al fuoco che hai giustamente acceso, con il solo obiettivo di provare a estendere i punti di vista sulla problematica da te sollevata, citandoti un pezzo del Breve Trattato sul Paesaggio (Sellerio, 2009) del grande Alain Roger, anche se mal tradotto dallo spagnolo (non ho purtroppo l’edizione italiana):
“[la crisi attuale del paesaggio] rivela , soprattutto, la sclerosi del nostro sguardo, che chiede l’antico […] e il ricorso nostalgico a modelli bucolici, più o meno scaduti […]. Non sappiamo ancora vedere [corsivo mio] i nostri complessi industriali, le nostre città futuriste, il potere paesaggistico di un’autostrada. Siamo noi che dobbiamo forgiare gli schemi della visione capaci di convertirli in qualcosa di estetico. Per il momento, non facciamo altro che crogiolarci nella crisi, ma forse, proprio da questa contemplazione critica deriveranno i futuri modelli del nostro sguardo”.
… e tutto questo, premettendo che Roger non è affatto un Marinetti (anzi)!
Davide