oscurità

[omissis] | davide tommaso ferrando

L’immagine nera di un’architettura di ombre raffigurata per effetto di ombre ancora più oscure.

Nell’elaborare la complicata storia dello spazio moderno […] storici e teorici si sono in larga misura concentrati sul ruolo evidentemente politico dello spazio trasparente […]. La trasparenza, si pensava, avrebbe spazzato via il regno del mito, del sospetto, della tirannide e soprattutto dell’irrazionale. Le griglie razionali e le cinte ermetiche di istituzioni some ospedali e carceri, lo sventramento chirurgico delle città per favorire circolazione, luce e aria, la progettazione terapeutica di abitazioni e insediamenti: tutte queste cose sono state analizzate alla ricerca di contenuti nascosti e per la loro capacità di strumentalizzare la politica della sorveglianza tramite quella che Bentham chiamava «trasparenza universale».

[…]

Eppure tale paradigma spaziale, come osservò Foucault, nasceva da una paura originaria, la paura dell’Illuminismo di fronte agli «spazi bui, [al] drappo scuro che impedisce la piena visibilità di cose, persone, verità». Alla fine del Settecento proprio questa paura del buio diede origine alla fascinazione per quelle stesse zone d’ombra – per il «mondo fantastico fatto di muri di pietra, oscurità, nascondigli e segrete» -, «il contrario della trasparenza e della visibilità che ambiva a stabilire»1. Il momento che vide la creazione della prima «politica ponderata degli spazi» basata sui concetti scientifici di luce e infinito assistette anche, nello stesso ambito epistemologico, all’invenzione di una fenomenologia spaziale del buio.

Gli architetti di fine Settecento erano del tutto consapevoli di questa visione duplice. Étienne-Louis Boullée, tra i primi ad applicare i nuovi principi del sublime burkiano alla progettazione di istituti pubblici, sfruttò appieno la forza visiva e sensazionale di quella che Burke aveva chiamato la «luce assoluta» […]. Boullée era ossessionato anche dal buio completo: secondo lui lo strumento più efficace per indurre quello stato di terrore primario che Burke considerava istigatore del sublime.

[…]

Forse non è un caso che Boullée elaborasse le sue teorie sul buio nel periodo in cui fu costretto a ritirarsi dalla vita pubblica durante il Terrore […]. Durante questo esilio interno, verso la metà degli anni novanta del Settecento, Boullée raccontò gli «esperimenti» da lui compiuti con luci e ombre durante le passeggiate notturne nei boschi a casa sua […]. Sulla base delle sue esperienze, Boullée formulò una nozione di architettura che parlasse di morte […]:

Si deve, come io ho cercato di fare nei monumenti funebri, presentare lo scheletro dell’architettura per mezzo di una parete completamente spoglia, che parli di un’immagine dell’architettura sepolta ricorrendo solo a proporzioni basse e compresse, affondate nel terreno e che formano, infine, per mezzo di materiali che assorbono la luce, l’immagine nera di un’architettura di ombre raffigurata per effetto di ombre ancora più oscure.

Boullée fornì l’esempio del Tempio della Morte, che era come la facciata di un tempio incisa sotto forma di ombra sulla superficie piatta di un materiale fotoassorbente – un’architettura virtuale della negatività.

1 Michel Foucault, The Eye of Power, in C. Gordon (a cura di), Power/Knoweledge: Selected Interviews and Other Writings 1972-1977, Pantheon Books, New York, 1980, pp. 153-154.

ANTHONY VIDLER, Il perturbante dell’architettura. Saggi sul disagio nell’età contemporanea, Einaudi, Torino, 2006 (Cambridge, 1992), pp. 188-190.

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