massa critica | francesco pasquale
Francesco Pasquale intervista Dominika Janicka, Martyna Janicka e Michał Gdak, vincitori del concorso per l’allestimento del Padiglione Polonia alla 15a Biennale di Architettura di Venezia, il cui titolo “Fair Building” fa riferimento alle difficili e spesso sottovalutate condizioni dei lavoratori nel settore edile, protagonisti dell’allestimento.
Photo by Maciej Jelonek
Ebbene sì, ci sono voluti otto anni dall’inizio della crisi per dedicare una Biennale alla crisi, ma come recita il noto adagio, un ampio ritardo è preferibile all’eterno oblio.
Reporting from the front è stata la convincente formula per chiamare ciascuno al racconto di ciò che accade in prima linea, laddove anche la cronaca dell’architettura fa fatica ad arrivare, ma dove in realtà già da tempo chi opera sul campo si confronta con temi e dinamiche sconosciute a chi è cresciuto professionalmente nel Novecento. Naturalmente non tutti hanno colto lo spirito di questa chiamata, e in molti padiglioni nazionali abbiamo assistito alla consueta rassegna di esperienze istituzionali, frutto dei classici processi top-down. Si sono invece distinti per capacità di lettura critica del contemporaneo Dominika Janicka, Martyna Janicka e Michał Gdak, che hanno vinto il concorso per l’allestimento del Padiglione Polonia, proponendo un’installazione sul tema del fair building.
Photo by Maciej Jelonek
Il pannello informativo all’ingresso è molto chiaro nell’esplicitare come l’attenzione sia rivolta all’analisi del processo della costruzione piuttosto che ai suoi esiti formali, focalizzandosi in particolare sulla componente più esposta ai pericoli del costruire, ovvero gli operai che con il loro lavoro di cantiere fanno diventare i progetti di noi architetti realtà.
Sono proprio loro i protagonisti dei quattro video che vengono proposti nella prima stanza, allestita con una impalcatura che ne satura totalmente il volume facendo calare il visitatore nell’atmosfera del cantiere. Le loro testimonianze dirette, efficacemente raccolte attraverso telecamere montate sui caschi durante il lavoro, raccontano di pericoli, ingiustizie, speculazioni e purtroppo a volte di vere e proprie tragedie umane. L’impatto dell’allestimento insieme alla genuinità dei loro racconti sono di grande efficacia sia per l’addetto ai lavori sia per il visitatore “laico”.
Il padiglione prosegue con una seconda stanza, dove dalla frenesia del cantiere si passa alla quiete della riflessione, con alcune sedute e una sola grande infografica capace di sintetizzare i numeri di questi fenomeni. Qui il visitatore ha gli spazi e il tempo per riflettere sulla domanda che i curatori si sono posti al principio del loro progetto: È possibile costruire secondo un principio di giustizia sociale?
5channel video installation, film still
Ecco cosa ne pensano Dominika, Martyna e Michal, cui ho avuto l’opportunità di fare alcune domande:
Francesco Pasquale: La questione etica alla base della vostra installazione deriva maggiormente dal tema di questa Biennale o dalle vostre esperienze professionali?
Curatori: La mostra nel Padiglione Polonia è l’immediata risposta al tema Reporting from the front, dove per noi il primo fronte dell’architettura sono i manovali edili. Nonostante siano una parte essenziale di qualsiasi processo di costruzione, essi sono molto spesso trascurati nel dibattito sull’architettura. La società non si cura delle problematiche del lavoro nei cantieri, perché non ha nessun contatto quotidiano con essi. Persino gli architetti non sono sempre consci delle condizioni di lavoro tipiche dei cantieri.
Grazie a questo progetto abbiamo di fatto avuto l’opportunità di osservare il lavoro degli operai da una prospettiva più ampia: li abbiamo seguiti non solo durante le ore di lavoro, ma anche nel loro tempo libero. All’inizio erano scettici ma nel tempo abbiamo guadagnato la loro fiducia: erano grati del fatto che qualcuno si interessasse alla loro professione e riconoscesse il loro ruolo.
Photo by Maciej Jelonek
FP: A mio avviso è stata una scelta di grande carattere quella di affrontare con chiarezza un unico tema invece di mostrare una serie di progetti ben disegnati, per quanto potessero essere coerenti con il tema, come si è visto in molti altri padiglioni. Come siete arrivati a questa decisione?
C: La mostra non aveva l’obiettivo di mostrare un progetto finito, qualcosa che potesse essere pubblicato in un catalogo. L’idea era piuttosto quella di sfruttare la Biennale come punto di partenza per un ragionamento. Non abbiamo proposto risposte o soluzioni, ma abbiamo creato le condizioni per un dibattito globale: è possibile costruire secondo un principio di giustizia e chi ne ha la responsabilità?
Vorremmo che la discussione non riguardasse solo gli architetti, ma anche organizzazioni che si occupano di problematiche del lavoro, così come developers e investitori. Contestualmente all’apertura della mostra abbiamo avviato una pagina web nella quale vorremmo raccogliere tutte le opinioni a riguardo.
FP: Puoi dirmi come pensi che abbia reagito la comunità dei critici nel trovarsi di fronte a storie di operai invece che a scintillanti architetture?
C: Il concept della nostra mostra aveva generato accese discussioni già durante la fase di concorso all’interno della comunità di architetti e ingegneri, in quanto ciascuno aveva la propria opinione e prospettiva sul tema. Finora abbiamo avuto per lo più riscontri positivi. Siamo stati notati e raccomandati come “must see” da importanti testate come The Guardian, The New York Times, The Architect Magazine e Dezeen. La mostra ha anche la capacità di avvicinare persone che lavorano su temi simili a quelli del fair building, e con la loro esperienza speriamo di sviluppare ulteriormente il progetto. Dal nostro punto di vista, gli operai sono coloro che attualmente hanno la minore influenza nel dibattito sull’architettura.
Photo by Maciej Jelonek
FP: Finora gli edifici avevano l’obiettivo di essere corretti solo nei confronti dell’ambiente e della natura, e secondo questi principi sono stati creati standard come ad esempio quello dell’efficienza energetica. Vedete la possibilità di certificare in qualche modo la loro correttezza anche nei confronti degli operatori coinvolti nel processo di produzione, sulla falsariga di quanto accade già per molti prodotti di consumo?
C: Ci stiamo ponendo questa domanda dall’inizio del progetto.
Siamo al corrente del fatto che il processo che porta alla costruzione di un edificio è assai complesso e dipende da molti fattori, difficili da racchiudere in una tabella che dia un reale valore alle condizioni di lavoro. La mostra ha un riferimento diretto all’istanza sociale conosciuta come fair trade e speriamo di poterla applicare anche nell’architettura.
Siamo anche consapevoli che l’industria edile sia un mercato con enormi interessi in gioco, dove spesso il profitto è più importante della maniera in cui viene raggiunto.
Autore
Francesco Pasquale è partner dello studio Brenso – Architecture & Design, con sede a Bologna, e Docente a contratto di Teorie e Tecniche della Progettazione e Architettura del Paesaggio presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara.
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