Dall’introduzione di Giacomo Borella:
L’architettura del nostro tempo è in larghissima parte un’architettura fossile. Con due significati distinti. In senso metaforico: è la traccia senza vita dell’architettura che ha dominato nel secolo scorso i paesi sovrasviluppati, la parodia della sua fiducia cieca nella tecnologia (qualsiasi essa sia), nella crescita, nella infinita accumulazione del denaro e nella disponibilità illimitata di risorse. In senso letterale: perché la sua vuota onnipotenza formale, la sua inconsistenza corporea, è fondata su un consumo smisurato di combustibili fossili o atomici. L’attiva partecipazione di questa architettura fossile alla distruzione ambientale non è un incidente di percorso, ovviabile con un’ulteriore aggiunta tecnologica, ma l’effetto coerente dei suoi fondamenti programmatici.
Se c’è una qualche minima speranza di ritrovare un’architettura umana, essa sarà post-fossile, frugale e minore, certo anche minoritaria e credo dovrà affrontare due compiti, uno triste e uno allegro:
1. risalire la china del nostro “analfabetismo dell’angoscia”, ricercare la “capacità di sentire l’angoscia adeguata” al salto di qualità che la minaccia ambientale rappresenta, tenerla con sé e renderla operativa quando si lavora sui temi dell’architettura e della città. […]
2. ritrovare, pur nello spaesamento delle città e nella dispersione dei luoghi, il senso di appartenenza al creato. […]
Da qui, ricercare malgrado tutto un’architettura allegra, che riconosce la terra come dono, la manutiene e ne raccoglie i frutti.
Info
titolo > Per un’architettura terrestre
autore > Giacomo Borella
casa editrice > Letteraventidue
pagine > 92
anno > 2016
prezzo > € 12,00
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