In occasione della recente pubblicazione di Limboland, una raccolta di osservazioni sul paesaggio contemporaneo degli Stati Uniti e della Cina scritte in forma di diario da Pietro Valle, pubblichiamo tre suoi brevi scritti che rappresentano, in maniera del tutto similare a quelli inseriti nel volume pubblicato per i tipi di Libria, altrettanti spostamenti dello sguardo proiettato dall’architetto e critico friulano sui territori da lui visitati. Domani, martedì 10 maggio, Pietro Valle sarà a Torino per raccontare la sua esperienza dei paesaggi cinesi e americani in una lecture pubblica facente parte di un ciclo di conferenze organizzato dal Politecnico di Torino. Davide Tommaso Ferrando
Nell’Oscurità che Cala
A Est, la catena montuosa corre parallela alla strada, il suo profilo riflette il sole già tramontato. I dettagli sono isolati, acquisiscono un rilievo innaturale. Fattorie con assi di legno bianche, depositi metallici, case mobili. La luce esterna che cala è ancora più forte delle finestre illuminate. Gli oggetti sono congelati in un fermo immagine, scolpiti dalle loro stesse ombre. Poi si spengono e scivolano via in silenzio. E allora cos’è il buio dell’autostrada quando l’abitato finisce? Il flusso arrivato al suo ultimo denominatore nero? Ci sono grandi cartelli pubblicitari sul lato della carreggiata sospesi in aria su telai reticolari e illuminati da riflettori. Soli, senza paesaggio intorno, aleggiano nella pianura. Un alto guardrail separa dalla corsia opposta così che i fari delle auto non interferiscono con le insegne volanti. Quando si guarda il retro dei cartelli, appare un rettangolo nero, il bordo definito da un tenue alone di luce. Una porzione della grande oscurità è ritagliata, definita, e lasciata fluttuare nel cielo sopra la strada. Il buio è sottolineato come rappresentazione di se stesso, una visione concentrata che sembra avere più forza dell’estensione circostante. Attrae come un buco nero: il potere della finestra, del riquadro, della definizione, anche se include il vuoto, la non-figura. La rappresentazione tuttavia non è sola, è insieme al rappresentato, quel cielo notturno da cui vorrebbe separarsi. Aureole rettangolari scorrono via, ritornano ma non portano altro che un’ulteriore reiterazione dell’indefinito. Il veicolo è negazione dello sguardo che contempla, un automa che si muove nella notte. L’esterno è ritagliato dai cartelloni, l’interno è schermato dai finestrini: una geografia di molteplici cornici si sovrappongono sul confine della carrozzeria in movimento, permettono alcune transizioni e ne bloccano altre. L’involucro in corsa è un’ipnosi, un universo che si dipana senza differenze. Ci si incanala in un tunnel leggero bordato da confini labili, il sé si proietta sugli altri ma non si riconosce in essi. Non c’è percezione dell’identità attraverso la differenza: in corsa, realtà e rappresentazione collassano l’una nell’altra.
Highway 81, Virginia 1988
Saturazione
La vegetazione scherma l’identità labirintica dei sobborghi, dell’industrial park e delle sue scatole dilatate sul territorio. Il paesaggio ha il valore aggiunto di un grado in più di saturazione del colore che esplode con un verde di un’intensità senza precedenti nella primavera della California del Nord. Il costruito scompare, il paesaggio non è né prima né dopo ma attraverso: un buco che perfora, una massa fluorescente che aggredisce. Gotico con intrecci e torri di alberi, Color Field con l’innalzamento di un piano di colore dietro, di fianco e davanti alle cose. L’orizzonte assume una verticalità gravitazionale e ripida, forma le colline prima che esse compaiano. Tutto il resto è schiacciato ai margini del rappresentato, cola in un dripping, esplode in pulviscoli. Questa astrazione non elimina la rappresentazione banale delle case e delle auto cui si frappone. È un colore trovato nelle alture della pioggia, reinventato in un Mediterraneo / Mission / Gotico / Pittoresco nelle mansion degli anni Venti, sopravvissuto allo sprawl e usato come messa a fuoco che identifica questo luogo (mentre esso in realtà è uguale a tutti gli altri). Il rigoglio della macchia nasconde nelle sue pieghe la segregazione di quartieri e proprietà mentre distanzia con il suo abbaglio verde. Paesaggio di nebbie e offuscamenti (sembra orientale), insediamento di scatole cinesi nascoste dietro l’alternanza dei loro riflessi. Non a caso si accompagna all’High Victorian, a spazi densi di intricacy, che sono in realtà bungalows di schermi di legno, effimere ragnatele profumate di fiori come l’aria che attraversa questi luoghi di produzione di intelligenze artificiali. La casa sulla sommità o nascosta alla base della collina è un’apparizione come la vegetazione. I rilievi sono sempre troppo in alto o troppo in basso, sembrano rovesciarsi su chi li avvicina. Estetica dello sbilanciamento al servizio della privacy. Eccesso che sembra permeare tra le cose ma è solo attaccato sopra a esse con uno strato di polvere pigmentata.
San Francisco, Silicon Valley, California 1990
20/21-11-14 Haikou, Isola di Hainan
Lasciamo l’inverno di Pechino per volare a sud di Hong Kong in quest’isola tropicale, meta di un turismo balneare nel suo lato sud e sede di una nuova città sul lato nord in pieno boom edilizio, Haikou.
La conurbazione è nuova, turistica, sporca e asfissiante: grattacieli sorti troppo in fretta crescono su un basamento che è bidonville temporanea. Tanti alberi rigogliosi, piantati in quantità esagerate, appaiono come l’unico elemento di continuità. Il resto è spontaneo e ghettizzato: vi è una divisione dello spazio tra ricchi e poveri che non solo ordina i quartieri ma, in ogni edificio, separa il livello della strada da quelli superiori. I marciapiedi, oltre che dagli alberi, sono invasi dalle auto parcheggiate alla rinfusa, dalle bancarelle di vendita, dalle biciclette e da una folla scomposta. Gli edifici che svettano al di sopra di questo magma, sono mal tenuti anche se opulenti: non si sa se perché costruiti male o degradati troppo in fretta. Gabbie alle finestre e impianti appesi ai muri con cavi volanti, danno un senso di sovrastruttura puntuale che avvolge l’insieme come una ragnatela. Una cappa grigia di smog e calore aleggia sulla città. Autostrade sopraelevate sorvolano il downtown creando un livello aereo e uno inferiore dove il rumore della strada echeggia sul soffitto dei viadotti.
I nuovi quartieri residenziali sorgono su canali artificiali scavati ortogonalmente alla spiaggia. Cercano la vista del mare ma esso qui è a nord per cui tutte le finestre trovano la vista ma non la luce del sole. Vi sono due tipi di insediamento, i cluster di grattacieli uguali a tutta la Cina e i piccoli condomini (o, a volte, le villette) In un compound verde racchiuso in un recinto sorvegliato. Il Moderno appare a tratti negli edifici bassi, anche se, anche qui, è mal digerito. E’ assolutamente evitato nei nuovi grattacieli residenziali riuniti a cluster. Ricorda il passato, il Comunismo, le tecnologie industrializzate ma povere. Oggi la casa deve essere tematizzata, rivestita e ricca di orpelli. Ricorre lo Stile Versailles, una sorta di Rococò Francese con porte finestre, cornici e tetti a mansarda. La nuova Cina sembra ricostruire la stessa densità precedente, dividendola in appartamenti più grandi e arricchendola di rivestimenti applicati.
Si riparte attraverso una serie di tappe tra aeroporti sempre più grandi attraversati da una folla di soli cinesi. A volte sembra che l’ambiente fisico passi loro accanto, che non se ne accorgano, intenti come sono ai loro affari quotidiani. La fretta della crescita non sembra contemplare gli edifici e gli spazi. Qualunque forma essi abbiano, cambieranno comunque in un tempo più breve di quello della vita delle persone. Forse è anche per questo che la Storia, in Cina, è rifatta ogni giorno.
Pietro Valle
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