Nell’antico Matadero di Madrid, le tegole di una copertura in cattive condizioni sono state ritirate, accatastate e riutilizzate all’interno di una piccola ala, la 8 B, per soddisfare una necessità. Questo potrebbe essere il riassunto dell’intervento.
L’ala 8 B del Matadero è destinata alla gestione amministrativa. Una piccola area di lavoro, un magazzino e uno spazio polivalente per riunioni o presentazioni. Originariamente si trattava di una serie di spazi di servizio per l’immagazzinamento degli scarti prodotti nell’ala 8, in cui si seccavano le pelli e la carne salata. Un’ala minore, ma dotata di un grande interesse spaziale.
Le priorità dell’intervento erano: sostituire una copertura di tegole su tavole e tavelle, rinforzare la struttura e controllare acusticamente e termicamente gli ambienti interni per ospitare i nuovi usi. Un processo che era già stato messo in pratica in alcune ali del Matadero e che, come risultato, aveva prodotto montagne di residui di tegole, legna, cubi di pietra e lastre di granito da spostare in discarica.
Voglio pensare che questo progetto è nato da una opportunità. Dall’aver scoperto una opportunità in quelle montagne di residui. Mentre si esplorano tutte le possibilità ragionevoli, il sistema costruttivo si converte nel generatore del progetto, nel luogo in cui prende forma una determinata postura etica rispetto al restauro e all’architettura.
Come funzionano quegli oggetti trovati? Come funzionano le tegole? Come si accatastano? Come si montano? Quali sono le loro proprietà organolettiche, il loro peso? Come si uniscono? Queste sono alcune delle domande che appaiono durante il processo. L’assenza di alcuni elementi di aggancio produce fessure, il passaggio della luce. A volte un pezzo intero è usato per i muri, altre, un pezzo spaccato è usato per i rivestimenti. Il problema degli angoli, degli architravi. Appaiono i problemi universali dell’architettura. Allo stesso tempo, e con la stessa intensità, appaiono i problemi della manodopera, l’imperfezione. L’imperfezione dell’uomo e della materia vecchia, recuperata. Ricordo di aver dato, durante il cantiere, un ordine ingenuo: “Jose, lascialo pure storto, non importa” e la risposta, una lezione da parte del direttore dei lavori: “Non lo lascio storto, che per lasciare le cose storte c’è sempre tempo”. Un lavoro di tanti, pieno di vibrazioni. Le vibrazioni dell’artigiano collettivo, l’artigiano di cui parla Richard Sennett.
Così come la capanna nel bosco dell’architetto svedese Ralph Erskine, nella quale tronchi di legno venivano accatastati per proteggersi dal rigore dell’inverno, anche questo progetto è bioclimatico. Bioclimatico perchè le tegole contribuiscono al comfort termico e acustico, sostenibile perché si reinventa con tutto ciò che si trova a portata di mano. É bioclimatico come l’architettura vernacolare, come quei camini rivestiti in ceramica che si trovano nella provincia di Soria.
É un intervento che cerca di rispettare una configurazione spaziale valida, senza adulterarla. È una prova del potere dell’architettura intesa come contenitore qualificato, indipendentemente dagli usi contingenti. Un’idea spaziale classica, eterna, che non ha nulla a che vedere né con il classicismo, né con l’Italia. Contro allo stile intenzionalmente nazionale applicato da Luis Bellido alle facciate del Matadero, in questo caso, negli interni, lo stile si diluisce, taglia i vincoli con l’antica Scuola di Madrid. Ordine, opportunità, compromesso, contegno o chiarezza senza alcuna volontà formale a priori. Un terreno a me sconosciuto, più in là del progetto, più in là di qualsiasi intenzione. Il protagonismo dell’architetto fa un passo indietro, si ritira giusto in tempo dall’architettura. La storia avanza per moti pendolari o elicoidali, se la pensiamo in tre dimensioni. Questo progetto disfa alcune strade già percorse, va alla ricerca di punti di incontro. Avanza retrocedendo, come i vogatori, guardando indietro, così come insegnava Oteiza. Dalla tegola spagnola, disegnata utilizzando la coscia di una donna come stampo, e dalla sua collocazione manuale, si è passati alla sua applicazione industrializzata e alla sua versione piatta. Ora gli elementi industriali, inerti, sono intesi in un’altra maniera, decontestualizzati e collocati dall’imprevedibile lavoro manuale.
Questo progetto cerc di intendere l’architettura come un’esperienza intellettuale, culturale, etica. Da non confondersi con una presa di posizione sociale o politica.
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