L’etimo della parola autore rinvia, con il verbo augere (aumentare, accrescere, ricolmare), ad un gesto creativo e di incremento. Autore è l’istanza che crea, che accresce l’esistente. Se Roland Barthes cinquant’anni fa ne sancisce la morte in un celebre testo, è solo per ribadire che a morire è «l’autore come personaggio moderno, prodotto dalla nostra società quando, alla fine del Medioevo […], scopre il prestigio del singolo o, per dirla più nobilmente della “persona umana”». È questo Autore come soggettività singola e nome condensatore di prestigio a essere minato dalle strategie desoggettivanti di automatismo, casualità e frammentazione delle avanguardie storiche, così come dal gesto macchinico e di riproducibilità delle seconde avanguardie. Al posto del mito moderno dell’autore come origine legittimante e prestigiosa si descriveva così, già nel 1968, l’istanza aperta e molteplice dell’autorialità, sempre già e solo iscritta nel progetto, nell’opera, nella sua performatività; istanza dalla natura multiforme, che le società etnografiche del racconto pensano esemplarmente come figura di sciamano-mediatore, mai “genio” singolare, bensì performatore e transduttore di messaggi altri. Cinquant’anni dopo quella paradigmatica formula, l’orizzonte post-antropocentrico del pensiero e del progetto contemporaneo sembrano spingere ancor più marcatamente sul definitivo superamento dell’autore-persona. Ma è proprio così?
Fortissima è l’affermazione di forme dell’autorialità per le quali augere non è più compito dell’individuo creatore residuo di quel mito moderno – colui che gerarchizza e seleziona, che trasforma e controlla, che sceglie e indirizza – ma pratica da compartire con le forze anonime della materia. La “complicità coi materiali anonimi” sottrae l’autore alla propria esausta individualità, per aprirlo a soggettività creative ibride in cui la polvere, lo smog o la vegetazione sono i co-autori incontrollabili della processualità della forma architettonica; in cui meccanismi di casualità, entropia o riproducibilità tecnica sollevano l’artista dal suo secolare commercio con la scelta del “soggetto”; in cui la rivendicazione del collettivo soppianta la firma individuale. Tuttavia, negli ambiti della progettazione permane una tensione tra le retoriche degli anonimi processi dell’antropocene e la riaffermazione – anche normativa in certi ambiti – del nome autoriale, così come resta fortissima la contraddizione tra la retorica della creazione collettiva e le condizioni di lavoro materiale di chi a quel processo creativo partecipa, sperimentando sovente le costrizioni e parcellizzazioni dei processi produttivi: il passaggio di mano del progetto è tale che l’ultimo suo atto è ancora una firma colma di responsabilità, istanza del diritto cui sono dedicati interi percorsi formativi, mentre chi “fa” scompare sia nella estrema specializzazione dei processi di produzione che nel nome finale apposto al progetto. La moltiplicazione delle esperienze e dei modi, di pensare e di fare progettazione è consacrato dalla letteratura, mentre il governo italiano annuncia la nascita della Struttura per la Progettazione di Beni ed Edifici Pubblici, superando, nel 2019, l’ambizione degli uffici tecnici delle grandi aziende italiane che negli anni Sessanta-Settanta volevano progettare il mondo nel senso di un augere autoriale. L’autore è morto ma l’assenza di autorialità sembra essere paradossalmente una griffe di successo.
Il binomio materia-autore intende marcare queste tensioni e contraddizioni: vi si mantiene la connotata parola autore per sottolineare il paradossale permanere di quella prestigiosa soggettività che sembrava morta cinquant’anni fa, proprio nel momento in cui le retoriche della materia come autore promettono nuove meno prescrittive e antropocentriche forme di autorialità, laddove l’artista fa dell’autodistruzione della propria opera la vera opera e ci si appella alla demolizione di architetture, d’autore o meno, per ri-progettare, o meglio per ri-affermare il territorio.
Cruciale è in questa prospettiva la sfera del diritto, che plasma il confine tra l’anomia della materia e la norma che istituisce e produce l’autorialità; gli ordini professionali persistono, le popolazioni decidono di sostituirsi allo stato per curare i territori, l’intelligenza artificiale prosegue il suo cammino di autoapprendimento e elaborazione di norme proprie in sostituzione dell’ingegno umano, suo autore.
Lo spazio della critica diventa, infine, sempre più evanescente o ha forse bisogno di una profonda ridefinizione: legata a doppio filo all’istanza autoriale, Barthes annunciava, con la liquidazione dell’Autore, anche la fine di una «concezione molto comoda per la critica che si arroga l’importante compito di scoprire l’Autore al di sotto dell’opera». Vi è però un’accezione di critica che è teoria (dell’architettura, dell’arte, dell’immagine, della moda): piuttosto che cercare e produrre un’istanza legittimante sempre esterna alle forme, agli oggetti, alle pratiche, essa esplora con la massima attenzione la consistenza sensibile e materica delle forme progettuali, convinta che esse possano essere sede di un pensiero articolato in autonomia di mezzi e che solo in esse sia iscritta una soggettività “autoriale” non biografico-antropocentrica.
Il secondo numero di Vesper. Rivista di Architettura, Arti e Teoria / Journal of Architecture, Arts & Theory è interessato all’esplorazione di queste tensioni e contraddizioni in tutti i campi della progettazione e negli orizzonti teorici che questi campi convocano, dalla progettazione architettonica a quella artistica, dal design alla moda, dalle arti performative ai linguaggi digitali.
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Vesper. Journal of Architecture Arts & Theory è una rivista scientifica cartacea semestrale, multidisciplinare e bilingue, del Dipartimento di Culture del Progetto, Università Iuav di Venezia, edita da Quodlibet. La rivista è strutturata in rubriche. Tutti i contributi nella loro forma definitiva (testo finale per le call for abstract e testi della call for paper) saranno sottoposti ad un procedimento di valutazione tra pari secondo i criteri della Blind Peer Review.
Invio abstract entro il 5 settembre 2019
Notifica di accettazione abstract entro il 20 settembre 2019
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Pubblicazione di Vesper No. 2, maggio 2020
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