Il fondo

massa critica | davide tommaso ferrando

Tecnici e soccorritori lavorano nei pressi della nave da crociera Costa Concordia incagliata di fronte all’Isola del Giglio il 23 gennaio 2012 © Filippo Monteforte, AFP / Getty Images

Avrei alcune precisazioni da fare sul Padiglione Italia per Expo Dubai 2020, in relazione a quanto letto negli ultimi giorni su Facebook e su Artribune ieri mattina. Perché concentrare le critiche unicamente sulla scelta di rappresentare l’Italia per mezzo della “trovata” dei barconi rovesciati – evocando così una triste ma fin troppo facile analogia con le recenti tragedie italiane, dall’inchino di Schettino ai rifugiati che ora si trovano sul fondo del Mediterraneo – non aiuta a cogliere le altre ragioni dell’inadeguatezza di questo progetto.  

Tanto per cominciare: non è vero che non possediamo sufficienti elaborati per giudicare l’architettura del padiglione. La direzione che prenderà, una volta realizzato, è infatti intuibile dalle poche rappresentazioni pubblicate. Tre scafi rovesciati e disposti a “Z” tra e sotto i quali si assembla un involucro trasparente (presumibilmente in ETFE) supportato da un telaio metallico che dà forma a uno scatolone all’interno del quale succederanno cose legate a un progetto di allestimento non ancora diffuso. Finito. Ci troviamo, in poche parole, di fronte a un progetto così magro che è costretto a ricorrere a sostanziose dosi di retorica (leggete pure le dichiarazioni degli autori) per mascherare l’assenza di idee dotate di un qualsivoglia spessore – perché una idea architettonica, se ce l’hai ed è forte, la metti bene in evidenza, mica la nascondi. In realtà, a voler essere onesti, di idee interessanti ce n’è una, che vale la pena menzionare: la consapevolezza del fatto che oggi l’architettura occupa due spazi altrettanto importanti: quello materiale/geografico e quello digitale/mediatico. Ecco, lavorare sul secondo a discapito del primo, invece di integrarli come si dovrebbe, è precisamente quello che fa questo progetto di padiglione.

Italo Rota & Partners, Modellino del Padiglione del Kuwait, Expo Milano 2015 © Ghazy Qafaff – Kuna

Del resto, ridurre il progettare al confezionare un’immagine capace di trasmettere un messaggio talmente semplice che lo capirebbe anche un bambino, è una strategia ricorrente nei lavori recenti di Rota e Ratti. Il primo, per l’Expo Milano 2015, aveva circondato il padiglione del Kuwait – un altro scatolone – di una sequenza posticcia di vele che dovevano ricordare quelle delle imbarcazioni Dhow (ma come, barche di nuovo?). Il secondo, a pochi metri di distanza, aveva realizzato “il plotter più grande del mondo” per il padiglione della COOP.

– Davvero?
– Sì.
– Wow.

Tre anni più tardi, in piazza del Duomo, Ratti inaugurava “il giardino delle quattro stagioni”: un enorme frigorifero vetrato diviso in quattro scompartimenti, dal più freddo (l’inverno) al più caldo (l’estate). Al loro interno, si simulavano le diverse condizioni climatiche dell’anno, mettendole in scena per mezzo di oggetti immediatamente riconoscibili come neve (finta) e foglie secche, che non corrispondevano alle piante al di sotto delle quali erano state sparpagliate (già mi immagino il povero stagista a posizionarle con cautela dopo averle estratte dai sacconi in dotazione). Insomma, una presa in giro bella e buona, eppure, durante l’intero fuorisalone, il padiglione-giardino di Ratti è stato circondato da interminabili file di turisti, disposti a fare più di mezz’ora di coda per scattarsi un selfie in mezzo a una primavera di plastica.

Carlo Ratti Associati, Padiglione Living Nature, Milano Design Week 2018 © Davide Tommaso Ferrando

Tornando a Dubai, è importante sottolineare come la “trovata” dei barconi si appoggi sulla stampella dell’economia circolare, che è però una stampella traballante, a ben vedere. Chiediamoci insieme: di cosa sono fatte, le altre parti del padiglione? E i tre scafi, per issarli a 25 metri di altezza, di quanta struttura avranno bisogno? Saranno realizzati apposta, i barconi? Saranno davvero smontati? Non sarebbe più efficiente, in termini economici, materiali ed energetici, adottare altri elementi di copertura, magari smontabili e riciclabili come quelli usati da TAMassociati per il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia?

– Eh no, perché così la storiella del popolo di santi e navigatori va a farsi benedire.
– Ah, già.

Come per qualsiasi fake news sparata su Twitter, basta porsi un paio di domande sensate per smontare la fragile narrativa su cui si fonda l’intero progetto. Non che le tematiche ambientali non siano importanti, anzi, è proprio facendo sponda sulla loro attualità e urgenza che il progetto intende conquistare pubblico e visitatori. Ma è tutta apparenza, l’ennesima presa in giro: come tappare una diga in perdita con un dito. Anzi peggio, perché il millantato riuso degli scafi di tre yacht non fa altro che scimmiottare il tema politico con cui il padiglione dichiara di confrontarsi, facendolo così precipitare nel vuoto.

Visualizzazione dello spazio interno del padiglione Italia, al di sotto dello scafo rovesciato © Carlo Ratti Associati

Come sarà dentro il padiglione, poi, ancora non si sa. Circola un’immagine assolutamente generica dello spazio interno, come generiche sono le restituzioni grafiche dell’involucro esterno: leggerissimo, digitale, immateriale… ricorda i primi render di Palazzo Italia di Nemesi, o quelli della Nuvola dei Fuksas (in entrambi i casi, sappiamo bene come è andata a finire). A leggere le dichiarazioni di Rota, c’è da aspettarsi un percorso espositivo incentrato su una serie di riproduzioni dello spazio pubblico italiano: quello storico ovviamente, con tanto di citazione letterale del disegno michelangiolesco per la piazza del Campidoglio, vero tormentone della partecipazione italiana agli Expo. Che i padiglioni nazionali siano farciti di stereotipi, non è certo una novità, del resto servono a quello. Stride, però, il contrasto tra il desiderio di offrire un’immagine di modernità, e la necessità di ricordare al resto del mondo che in Italia bisogna andarci per il suo passato.

– Beh, se il suo presente è questo, direi che va bene così.

Eviterei, per concludere, sterili polemiche sul fatto che ormai, trovare architetture degne di nota agli Expo è come trovare un ago in un pagliaio. È vero, non ci sono più gli Expo di una volta, ma non per questo ci si deve tappare il naso e permettere che progetti di simile caratura siano sdoganati senza un minimo di critica, e dunque legittimati esclusivamente in quanto esito di concorsi che passano attraverso la valutazione di una giuria di esperti. Edifici brutti se ne costruiscono continuamente, dentro e fuori dagli Expo: il problema non sta nella loro esistenza, che è tutto sommato inevitabile (persino benvenuta, oserei dire), ma nella copertura mediatica che ricevono. Pubblicazioni, mostre e premi fissano gli standard a cui fare riferimento, e per questo sono molto importanti, perché si trasformano in precedenti.

Una sala di Palazzo Italia, Expo Milano 2015, con la doppia riproduzione del disegno michelangiolesco per piazza del Campidoglio © Marta Cantoni / Il Post

Mi fa molto piacere, da questo punto di vista, che il progetto del Padiglione Italia abbia sollevato un bel polverone negli ultimi giorni (anche se durerà poco): per una volta, sembriamo essere tutti d’accordo, e sebbene l’unanimità sia sempre sospettosa, potrebbe trattarsi del segnale – potenzialmente positivo, se ben canalizzato – di una frustrazione collettiva dovuta al fatto che forse, questa volta, l’architettura italiana ha davvero toccato il fondo.

Autore

Davide Tommaso Ferrando è ricercatore, critico e curatore nel campo dell’architettura, particolarmente interessato alle intersezioni tra architettura, città e media. Attualmente, è Post-Doc University Assistant presso il Dipartimento di Teoria dell’Architettura della Università di Innsbruck. 

Related Posts

Facebooktwittergoogle_pluspinteresttumblr


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

italian-theories

Related Posts

Facebooktwittergoogle_pluspinteresttumblr