Ex Libris. Di nuovo

massa critica | alberto ulisse

Per celebrare la recente uscita, questa volta per i tipi di Letteraventidue, della riedizione di Ex Libris, 011+ pubblica un tandem di post dedicati al bel libro di Giovanni Corbellini, il cui esaurimento della prima tiratura e successiva ripubblicazione mi rendono molto felice: non solo in virtù del suo valore – un’utile mappa per orientarsi tra le idee dell’architettura contemporanea -, ma anche in considerazione delle difficili condizioni in cui versa attualmente il mercato editoriale dell’architettura (e in particolare quello italiano). La doppietta si chiude con un’intervista curata da Alberto Ulisse, che arricchisce e rilancia alcuni dei temi  contenuti nella recensione di Roberto Damiani. DTF   

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Ex libris. 16 parole chiave dell’architettura contemporanea esce per i tipi di LetteraVentidue in una edizione rinnovata. Da un po’ di tempo era introvabile. Ti aspettavi che potesse far così bene, nel senso della diffusione ma anche per i suoi effetti?

Il libro è fatto di brevi testi organizzati per “parole chiave” che ho cominciato a scrivere per un’esigenza personale, priva all’inizio di un qualche specifico orizzonte comunicativo o di ricerca. Uno dei compiti che avevo alla Facoltà di architettura di Ferrara era proporre gli acquisti della biblioteca per l’area della progettazione; un piacevole incarico che cercavo di portare avanti senza troppi pregiudizi e includendo per quanto possibile il dibattito internazionale più ampio. Quando poi i libri arrivavano, un po’ per dovere di buon acquirente, un po’ per curiosità, me li guardavo bene, li sfogliavo, i più interessanti finivo per leggerli, in tutto o in parte. Presto mi si presentò il problema di non farmi sfuggire la massa d’informazioni, collegamenti, questioni, temi e altri spunti che quest’attività mi proponeva in quantità crescente: di fatto le parole chiave non sono altro che “schede di collegamento” tra fonti. Non un’invenzione particolare né un sapere esoterico. Chiunque abbia letto Come si fa una tesi di laurea di Umberto Eco sa di cosa sto parlando. Dopo averne scritte alcune, ho avuto l’intuizione che potessero avere un significato più pubblico, sia in senso metodologico che nel ritrarre un periodo particolarmente vivace e controverso della produzione teorica in architettura. Senza troppo volerlo, ne è emerso una specie di manifesto che è anche un attrezzo, una sorta di apriscatole culturale uscito al momento giusto.
Quanto al far bene, forse ti riferisci alla formulazione farmaceutica con la quale presentavo la prima edizione: nel risvolto della copertina mi ero divertito a descrivere il libro con una specie di “bugiardino”. Le ore passate nella farmacia di mio nonno, un mondo di affascinante precisione e pulizia, hanno probabilmente avuto una certa influenza. Viene in parte da lì l’idea che ogni “parola” dovesse avere una regola quantitativa (arrivato alla fine di due pagine sapevo che era il momento di chiudere). Ricordo che c’era un armadio con enormi serrature e spie luminose verdi e rosse, sul quale era scritto “veleni” e “stupefacenti”. Spesso mi piacerebbe poter somministrare ai miei studenti qualcosa di “forte”, in grado di scuoterne le granitiche certezze e deviarne, anche solo momentaneamente, lo sguardo. Diciamo che le parole chiave si propongono come terapie alternative (così come Le pillole del dott. Corbellini). Se poi abbiano effetti positivi o negativi, come per tutte le sostanze, dipende da quantità, modalità di assunzione, caratteristiche del “paziente”…

Pensi che “Ex-libris” possa essere uno strumento di dibattito anche fuori dall’accademia?

Cosa possa uscire dalle scuole non so e non dipende molto dalle mie intenzioni. Come dicevo prima, si scrive prima di tutto per se stessi, senza avere in mente un lettore particolare.
All’inizio, quando Marco Brizzi cominciò a pubblicare queste mie “parole” sulla sua webzine “arch’it”, credo abbiano avuto una larga diffusione, soprattutto in quel mondo non completamente interno alle logiche dell’università ma in qualche misura ancora gravitante attorno a essa. I primi duemila sono stati anni di espansione, con molti giovani e bravi architetti coinvolti nell’insegnamento a contratto, come assistenti, nei dottorati, nel dibattito attorno ai concorsi, anche in una dimensione internazionale. La rubrica e poi il libro hanno avuto lì un naturale “brodo di coltura”. Per quanto alcune “parole”, grazie a Julian Adda, siano uscite in anteprima sulla rivista del mio Ordine professionale, da quel mondo non ho avuto particolari riscontri, così come da altri ambiti “secolari” (cosa che è invece avvenuta con le pillole, più accessibili).
Tuttavia, proprio un’iniziativa dell’Ordine degli architetti della mia città mi ha portato a scrivere una delle mie parole più radicali, “Bello?”. Stavano organizzando un ciclo di conferenze nelle scuole e, stufo di sentire i colleghi riempirsi la bocca di “bellezza” e produrre i progetti più improbabili (in quel periodo facevo parte della commissione edilizia di un piccolo comune e so quello che dico), ho proposto di spostare la discussione su cose, come direbbe Wittgenstein, di cui “si può parlare”. Naturalmente capirono quello che avevano già in testa, e cioè l’esatto contrario di quello che intendevo… Quindi sì, la necessità di aggiornamento culturale è sempre presente ma, oggi, anche particolarmente problematica, dentro e fuori le aule universitarie.

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Sara Marini, recensendo il libro su “arch’it” nel 2009, rileva una coincidenza tra contenuto e contenitore, la ricerca di un dispositivo poroso in cui il lettore può navigare e costruirsi un suo sistema di relazioni tra i numerosi rimandi teorici, progettuali e interdisciplinari: un’Opera aperta alla Umberto Eco?

Ex libris, per quanto molto “letterario”, è sempre il libro di un architetto: funziona in un certo senso come un edificio, o una città, con diversi ingressi, dove si può entrare liberamente, seguire percorsi differenti e organizzare una propria esperienza “spaziale”. I libri, ancora come gli edifici, sono inoltre il risultato di un’attività solo in parte autoriale, crescono nel confronto con le persone coinvolte nel processo di progettazione/pubblicazione. Ex libris era uno dei primi volumi di un nuovo editore milanese al tempo molto ambizioso e Alessandro Rocca, che era il direttore editoriale, è stato estremamente importante, non solo nel decidere di pubblicare le mie cose, ma soprattutto nell’aiutarmi a gestire in modo efficace il loro passaggio dal web alla carta. La struttura aperta, ipertestuale del libro cerca infatti di tradurre nel formato fisico alcune potenzialità del virtuale. Questa organizzazione tendenzialmente anarchica, non lineare corrisponde poi alle medesime caratteristiche destabilizzanti, processuali, interattive, antigerarchiche delle teorie e dei progetti che si mettevano a confronto, in una sorta di mise en abyme che, certo, ha in Eco uno dei riferimenti principali.
Nella nuova edizione, che ha cambiato veste grafica, abbiamo cercato di spingere questa caratteristica al massimo. Il giallo che già caratterizzava il libro (originalmente un riferimento alle pagine gialle) è diventato fluorescente, come la traccia di un evidenziatore: un invito a fare le proprie annotazioni, aggiunte, connessioni… Con i grafici americani del primo volume era difficile comunicare: hanno fatto un lavoro impeccabile, ma qualcosa si era “perso nella traduzione” dal senso alla sua rappresentazione. Anche questa seconda uscita ha prodotto un bell’oggetto, probabilmente più coerente grazie soprattutto a Francesco Trovato, editore e grafico con il quale è un piacere lavorare.

Una delle parole – a mio avviso – più attuali è “Evento”, “inteso come carattere mutevole e aleatorio, che mette in crisi ogni idea di forma espressa attraverso assetti definitivi, ponendo in rilievo quello che accade e soprattutto quello che può accadere in un qualsiasi spazio, anche al di là delle previsioni”. Pensi che anche le altre abbiano retto il tempo allo stesso modo?

“Evento” è stata la prima parola che ho scritto, anche se è stata pubblicata sul web per seconda (a Marco Brizzi sembrava che cominciare con quel termine potesse suscitare qualche ambiguità), e quindi è probabilmente una di quelle che potrebbe essere riscritta.
Curando la riedizione del libro, mi sono chiesto se fosse necessario riprenderlo in mano completamente, ma alla fine ho deciso di limitarmi a correggere refusi e imprecisioni dei testi principali, inserendo commenti e novità nei post scriptum. Queste “code” ai testi, nei quali finivano riferimenti e pensieri che non avevano trovato posto nelle circa diecimila battute delle “parole”, erano intese dall’inizio come parte variabile, disponibile a integrarsi con quanto di nuovo proponeva il dibattito. Attraverso gli aggiornamenti di queste appendici, il libro ha quasi raddoppiato i riferimenti bibliografici, oggi oltre i millecento.
L’esigenza di un adattamento dinamico si era presentata già “in corso d’opera”, tanto che parole come “Indeterminato” o “Gioco” di fatto riprendono alcune questioni toccate in “Evento”, le sviluppano in altre direzioni e le collegano con altri argomenti che, a loro volta, aprono ad altri temi.
È vero che negli ultimi dieci, quindici anni (Ex libris era uscito alla fine del 2007; le prime parole le ho scritte nel 2002) l’editoria di settore e non ha subito mutazioni epocali. Nuovi strumenti e crisi economica si sono intrecciati in un spirale di cause ed effetti e tutto il sistema dei media ne è stato terremotato. Tuttavia, il passaggio dalla rete al libro delle mie parole contemplava una forma di consolidamento, di storicizzazione degli argomenti affrontati e dell’attitudine critica che li ha selezionati e organizzati, e mi è sembrato utile riconoscerlo. Anche le parole maggiormente minacciate dai cambiamenti intercorsi, mantengono infatti un loro senso operativo. “Dizionario”, ad esempio, riguarda un genere editoriale oggi in forte contrazione, ma i cortocircuiti con l’architettura rimangono di forte interesse, tanto che gli “Elements” della Biennale 2014 ne hanno riproposto il dispositivo nella specificità della focalizzazione, negli automatismi della catalogazione e nelle frizioni degli accostamenti casuali.
Un’altra novità è la scelta di evitare illustrazioni. Nel libro del 2007 svolgevano una funzione esplicativa, come se fossero didascalie per “raccontare” i testi. Una funzione che il tempo trascorso e l’iperinflazione delle immagini disponibili in rete hanno reso meno necessaria. Nel frattempo si è anche prodotto una sorta di sfasamento tra quei progetti – a molti dei quali sono tuttora molto affezionato – e le parole che descrivevano. In qualche modo, i testi – non i miei in particolare, intendo i testi in generale – presentano una differente attitudine alla durata, il che è anche una delle tesi generali del libro.
Quindi, nello spirito generale dell’operazione, direi che la maniera migliore per stare al passo con le evoluzioni di un tema o una questione è probabilmente aprire una nuova diramazione, e cioè scrivere una nuova parola.

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Ci stai lavorando? Stai scrivendo nuove parole?

L’uscita del libro è stata, a suo tempo, un piccolo “evento”, almeno per me. In un certo modo “mi ha scritto”, ha cambiato le condizioni del mio lavoro e reso una sua continuazione meno praticabile. Nel mio caso, si è ridotto drasticamente il tempo che ho potuto dedicare alla lettura e, con esso il materiale con il quale alimentare nuove parole. È anche cambiato il mondo della comunicazione e della produzione culturale: Ex libris è un derivato diretto di quella irripetibile sovrapposizione che, a cavallo del millennio, ha visto rete e editoria alimentarsi a vicenda. È anche una sorta di manifesto inconscio della generazione Europan, la mia, che invecchia con difficoltà e si vede già superata a destra da istanze differenti, ritorni all’ordine, riesumazioni di cadaveri…
Dall’altra parte, il format funziona sempre bene e, nella sua superficialità ed estrema concisione, è anche piuttosto divertente da scrivere. Qualche parola non contenuta nel libro è già pronta. Di altre produco elenchi e accumulo riferimenti. Un secondo volume di Ex libris è più che una intenzione, ma dovrò rinchiudermi per un po’ in biblioteca, prospettiva molto allettante e che spero di concretizzare presto.

Alberto Ulisse, Giovanni Corbellini

Questa intervista è in pubblicazione all’interno di un numero speciale di “QuadernInfiniti” curato da Alberto Ulisse.

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