Off the green. Note sul concorso di idee per Bari Centrale

massa critica | small

Firmato dal collettivo barese SMALL, questo articolo propone un’analisi critica (che a mio parere avrebbe potuto essere ancora più “graffiante”) degli esiti del concorso internazionale di idee “Baricentrale”, finalizzato alla trasformazione di un’importante area ferroviaria (3 km di lunghezza e 78 ettari di superficie) strategicamente situata nel centro urbano del capoluogo pugliese. Il tema non è certo d’attualità, dato che il concorso si è chiuso l’anno scorso con la vittoria del progetto presentato da Massimiliano & Doriana Fuksas, ma una serie di vicende editoriali hanno fatto sì che questo testo, originariamente destinato alle pagine di Domus, sia rimasto inedito fino a oggi. Poco male anzi tanto meglio, dato che le problematiche sollevate da SMALL (Alessandro Cariello, Luigi Falbo, Rossella Ferorelli e Andrea Paone) vanno ben al di là dello specifico caso barese, investendo un sistema più ampio di pratiche politiche, economiche e architettoniche riscontrabili in molti casi (non solo italiani) di trasformazione urbana. In particolare, la proposta di coprire l’intero sedime ferroviario con un grande parco lineare, risultata vincente, viene qui ricondotta alla funzione demagogica di “un’idea facilmente trasmissibile” – e dunque politicamente efficiente – sviluppata indifferentemente alla diversità di condizioni urbane che definiscono i limiti dell’area di intervento, nonché alla sostenibilità economica dello stesso. Da questo punto di vista, la proposta del noto studio romano mostra una preoccupante somiglianza con il recente progetto di interramento della tangenziale madrilena M30: un intervento faraonico (e mai completato) promosso in pieno boom economico da una giunta comunale poco avvezza a farsi i conti in tasca, che nel giro di pochi anni si è trasformato – al di là dell’interessante risultato architettonico, comunque non privo di una serie di errori legati proprio alla necessità di contenere i costi di un progetto evidentemente troppo dispendioso – nella tomba finanziaria della capitale spagnola. Memento…

Davide Tommaso Ferrando

© Massimiliano & Doriana Fuksas

Gli esiti di un concorso di idee, come le biennali, sono sempre sbagliati. Partecipare a un concorso di questo tipo significa, cioè, esporsi alle puntuali, spietate ed estemporanee critiche di esperti e profani del tema del momento; ed è giusto che sia così. È giusto insomma che un concorso di idee generi tempesta di idee, e quelle vengono un po’ a tutti, buone o meno buone, opportune o fuori luogo.

© Massimiliano & Doriana Fuksas

Ecco perché stupisce che, nel paese degli architetti, un concorso di idee importante come quello chiusosi a Bari a fine aprile [2013] sia stato pensato aperto a soli 10 studi di architettura selezionati per curriculum, come se fosse solo questo a conferire acume e innovatività alle proposte. Peraltro, un bando che esplicitamente richiedeva “visioni” più che interventi di dettaglio sarebbe dovuto – a nostro modesto avviso – essere dotato di una struttura aperta, proprio per poter giovare di quel connubio di visionarietà e pragmatismo tipico della gioventù, o semplicemente dei tanti che esercitano la professione con il sano cinismo di chi non appartiene al gotha. Entrambe queste condizioni non sempre coincidono con studi dai curricula lunghi abbastanza da competere a livello internazionale. Ma d’altra parte, quand’anche così fosse, è la restrizione a un numero così basso di proponenti a parerci in sé un errore concettuale, perché se c’è un caso in cui uno sbarramento all’entrata è controproducente, è proprio quello del concorso di idee. Non solo: il meccanismo di premio agli studi selezionati, conferito a prescindere dalla soluzione proposta, rischia addirittura di comprometterne l’efficacia, e va nella direzione opposta rispetto a quella che gratifica la qualità innovativa delle visioni.

© Guillermo Vazquez Consuegra

In ogni caso, a vincere la competizione è forse l’unico progetto a cui va riconosciuto il merito di comunicare un’idea complessiva unitaria e facilmente trasmissibile. Riconnettere due parti di città tagliate da un fascio ferroviario senza interrarlo è possibile: basta coprirlo, magari con quel parco di cui la città ha sempre lamentato la mancanza.

© COBE

La semplicità dell’idea, tuttavia, è così disarmante che non può non lasciare qualche sospetto di sottile demagogia, soprattutto quando si osserva che (un po’ forse per eccessivo pudore, ma senz’altro in gran parte per rispondere alle esigenze di sostenibilità economica richieste dal bando) nessuno degli altri raggruppamenti in gara ha pensato a una copertura totale del fascio, profondo in media 120 metri lungo più di 3 chilometri. Tutti, infatti, si sono barcamenati nel tentativo di oltrepassarlo puntualmente, attraverso interventi meno invasivi per il tessuto urbano (e per il portafoglio pubblico), con l’evidente effetto di aver costruito proposte più disomogenee, ma con il vantaggio di essersi dovuti, in un modo o nell’altro, interrogare almeno un poco sul funzionamento strategico della città.

© Insula Architettura e Ingegneria S.r.l.

E difatti la carenza più evidente di approfondimento che è il caso di muovere al progetto di Fuksas è la sua genericità. Non può non piacere il parco lineare da 35 ettari, ma come può un intervento così esteso, presentato non come puro “polmone” urbano ma come soluzione infrastrutturale, peccare di una tale semplicistica isotropia? Il grande dispositivo urbano attraversa ben 12 quartieri con risorse, necessità e problemi diversissimi tra loro, ma resta sempre uguale a sé, sostanzialmente insensibile alle loro varietà morfologiche, funzionali e sociali. Nei disegni colpisce, in altri termini, l’evidenza di una mancanza di visioni architettoniche al di là delle tiepide proposte per la Caserma Rossani (di cui, peraltro, è notizia freschissima l’occupazione da parte movimento cittadino di attivisti che intende risolvere il trentennale problema della sua mancata riqualificazione). Proposte che tuttavia fanno caso a sé, incidendo poco nelle dinamiche della città nel suo complesso. Quello di una visione urbana contemporanea è un problema non di minor conto rispetto alla endemica mancanza di verde comune a molte città del Sud Italia. E infatti, se da un lato l’idea del parco è potente tanto come concept quanto nel raccogliere consenso pubblico, dall’altro la contropartita architettonica messa in campo non osa proporre più che una generica offerta para-residenziale da città generica, contraria anche alla richiesta del bando di costruire un innesto lungo tutta l’estensione del fascio di binari, che determinasse un balzo in avanti nella dotazione e nel volto dell’architettura pubblica della città.

© Bolles+Wilson

Insomma, se agli altri progetti può contestarsi una timidezza complessiva, al vincitore è senz’altro da opporsi una serie di debolezze specifiche, sacrificate in nome di una leggibilità nell’insieme che forse, alla scala vasta dell’urbano, equivale a un equivoco di fondo. Un equivoco non di natura architettonica, bensì politica: laddove manca un disegno chiaro e condiviso in merito a un grande intervento come questo, l’architetto – per quanto celebre – non può essere chiamato a risolvere un problema la cui complessità strategica e sociale non è riassumibile in alcun disegno, neanche se a fondo verde. Fuksas vince, insomma, di certo con l’unica visione politicamente chiara; ma è una vittoria che racconta soprattutto di una irrisolutezza amministrativa figlia di una miopia del dibattito politico. Una vittoria che concede troppo poche ragioni per festeggiare.

SMALL | Soft Metropolitan Architecture & Landscape Lab
www.smallab.it

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3 risposte a “Off the green. Note sul concorso di idee per Bari Centrale”

  1. gerardo manca ha detto:

    4.1 Concorso di architettura BariCentrale

    Definite le complessità di sistema e le vicende di cronaca del nodo di Bari, alternatisi nell’arco di quasi centocinquanta anni di storia, appare evidente come difficile sia diventata quella possibile e condivisa risoluzione urbana. Palesi, a nostro parere appaiono ancora gli interessi di parte, quelli che appartenendo ad una ristretta oligarchia sottraggono, impropriamente, preziose parti del benessere collettivo. È la storia che in Italia abbiamo conosciuto da sempre, malgrado il fugace apparire, nelle pieghe delle favorevoli circostanze, delle beffarde speranze che sempre attanagliano la nostra esistenza. In questa lunga vicenda urbana si colloca il recente concorso internazionale di architettura BariCentrale.
    Il concorso ha riattualizzato lo storico tema urbanistico, correlato indissolubilmente al nodo ferroviario di Bari. Quale futuro dunque immaginare per questa grumosa impronta ferroviaria? Le esplicite domande del regolamento concorsuale, ovvero la sistemazione morfologica delle aree ferroviarie dismesse o dismettibili, sottendono però, al di là degli assunti di facciata (ricucire, legare, fondere, saldare le due parti di città) una implicita asserzione: l’immodificabilità del sedime del ferro da mitigare soltanto con un progetto di restyling (creativo) di alcune aree marginali. La frattura vestirà le forme (le lusinghe) del design architettonico. Questo è ciò che ha domandato il Comune di Bari ai progettisti. Abbandonati per sempre i progetti visionari, si preferisce confezionare un’operazione finanziaria (speculativa) di notevole portata. Il ragionamento è semplice: quei suoli centrali nel mercato immobiliare valgono oro; la loro commercializzazione darà probabilmente le risorse finanziarie per confezionare (allestire) tutto il resto. Sì d’accordo! Ma il resto in che cosa consisterà? Il resto si palesa nel progetto del vincitore Massimiliano Fuksas. La sostanza progettuale è la copertura (il tombamento) delle linee ferrate ritenute utili (il progetto ne individua quattro) e la destinazione a parco dell’intera area ferroviaria da est ad Ovest. Le suggestioni cromatiche dei rendering di progetto hanno sconfitto i dubbiosi. Altre perplessità, per momento, possono tradursi soltanto in retoriche domande. Eccone alcune: 1) dove andrà a finire tutto il resto (l’indispensabile struttura funzionale), ovvero in quale sito dovrà essere sistemata la logistica tecnica dello scalo ferroviario? 2) l’ingobbamento del suolo (anche se sistemato a giardino) è comunque un ostacolo visivo tra le due parti di città; 3) tale ingobbamento inoltre rappresenta un pericolo idrografico potenziale (da valutare) in relazione alla ortogonalità delle lame rispetto al sedime ferroviario? 4) Dove andrà reperito il materiale di riporto (non trascurabile è la stima in mc) per modellare le rilevanti scarpate di progetto, soprattutto in relazione alla tempistica esecutiva individuata? 5) La soluzione trasportistica dei quattro binari implica la costruzione dell’edificio stazione-ponte (opera non richiesta dal bando concorsuale); 6) i siti urbani monofunzionali (come ad esempio i giardini e i parchi) sono luoghi a rischio quando non vi sia utenza, soprattutto nelle ore serali; 7) Perché costruire un auditorium nella corte della ex caserma Rossani, constata la contiguità di funzioni ( vedi auditorium Nino Rota nei pressi dell’area F.A.L.)? 8) Quali soluzioni avranno il viadotto delle F.A.L. (il manufatto sembra sparito dai rendering e dalla cartografia di progetto) e il sottovia tra via De Giosa e l’extramurale Capruzzi? Vi sarà la demolizione del ponte carrabile tra Corso Cavour e viale Unità d’Italia? Sarà demolito o conservato (quale memoria storica) il ponte pedonale incidente nello stesso luogo?
    4.2
    Dal documento preliminare alla progettazione (concorso BariCentrale) riportiamo il seguente paragrafo (1.6 / Natura del progetto richiesto): Il tema del concorso è la visione di medio perio¬do dell’assetto urbano del centro di Bari. Nel lungo periodo, lo sviluppo dell’alta velocità e di soluzioni ingegneristiche adeguate, potrebbero riaprire l’ipo¬tesi di un interramento, che dovrebbe fare da sfon¬do alle valutazioni progettuali e strategiche dei con¬correnti.
    L’ipotesi concorsuale (premiata) ipotizzata da FuKsas è dunque drammatica: l’accumulo di migliaia di metri cubi di materiale inerte per tombare l’intera rete ferroviaria potrebbe essere solo, alla luce delle ipotesi di previsione sopra riportate, una scelta provvisoria. Sconcertante appare la possibilità, implicitamente dichiarata, di poter, nel tempo, modificare l’assetto tipo-morfologico del sito ferroviario. In sostanza, se la previsione fosse realmente implementata, i nostri figli o nipoti si troverebbero nell’imbarazzante (e dispendiosa) condizione di dover rivalutare l’assetto ereditato e dunque incominciare daccapo: via il parco, assieme alle centinaia di migliaia di metri cubi di inerti e terreno vegetale che lo rendevano in qualche modo possibile. Lo scenario è terrificante. La remota possibilità non sarà oggetto di analisi. Più importante è analizzare, sia pur in estrema sintesi, alcune scelte di progetto. Il tunnel proposto da Fuksas ha una sezione di progetto di m 20 e un’altezza di m 7. L’alveo dei binari del tracciato ferroviario ha una sezione (fonte / cartografie fotogrammetriche) che varia da m 85 circa (piano di sezione trasversale, secante l’edificio storico) a m 135 circa (Piano di sezione ortogonale alla testata d’arrivo del piazzale ovest). Ipotizzando una sezione conveniente, presunta, pari a m 100, e sottraendo dalla larghezza individuata il segmento dedicato al tunnel (ovvero m 20) risulterebbero, grosso modo, due scarpate (una sul fronte nord e l’altra su quello sud) estese al massimo per m 40. Ciò premesso e ipotizzando (spessore minimo) un riporto di terra sul piano d’estradosso del tunnel previsto di m 1.20 circa (quindi facendo lievitare l’altezza a m 8.20), si avrebbe un piano di scarpata con una inclinazione pari a 12° circa, corrispondente più o meno al 20% di pendenza. Qui precisiamo che l’altezza del tunnel, per il momento, è solo un’indicazione generica che è necessario valutare in seguito con un progetto di sezione puntuale (ad esempio il solaio di copertura dovrebbe essere a sezione scatolata, scelta morfologica idonea a contenere servizi impiantistici adeguati; ciò però farebbe aumentare di molto l’altezza complessiva e conseguentemente l’inclinazione di scarpata. L’eccessiva altezza dell’ipotesi di progetto (ovvero il tombamento dell’infrastruttura ferroviaria) sembra essere, dunque, il primo impatto negativo della soluzione premiata. La collina artificiale da destinare a parco è volumetricamente un corpo estraneo, esteso tra le due parti di città. Tale corpo non permette tra l’altro alcuna permeabilità visiva tra i due opposti fronti urbani, oggi comunque possibile. Le scarpate, va precisato, come da nostro calcolo, risultano con una percentuale troppo elevata (20% circa) tale da generare attraversamenti di media o medio-alta difficoltà. Per i progettisti però “ Il Parco si organizza topograficamente di modo che le pendenze degli attraversamenti siano le più basse possibili, intorno all’8% negli attraversamenti trasversali nel C2, e del 7% negli attraversamenti diagonali del C6.” Di quale natura siano gli attraversamenti (pedonali o carrabili) non è specificato chiaramente. Ciò che importa è “ rendere possibile il suo attraversamento trasversale (quello della collina, ndr) che permetta la ricucitura della città, lungo tutto l’ambito del progetto.” Qualsiasi pendenza ( 8% oppure 20%) genera in funzione delle pendenze configurate possibili fenomeni (graduati per indice di pericolosità) di dilavamento delle acque meteoriche da valutare attentamente nelle fasi di implementazione del progetto. I progettisti ci rammentano che l’intervento proposto “È un grande parco con passeggiata belvedere (vale dire su un percorso sviluppato in quota, ndr) sulla città ed il mare, organico e geometrico, continuo, accessibile al 100%, strutturante, aperto, diafano, flessibile e dinamico”. Incomprensibili appaiono, a nostro giudizio, le aggettivazioni impiegate, intrise di una sovrabbondante e inutile retorica linguistica. Il progetto Fuksas può essere dunque sintetizzato solo nella “…semplificazione del tracciato ferroviario urbano che attraversa il centro di Bari (fascio di quattro binari, ndr)” Tale semplificazione però presuppone in primis la costruzione della stazione ponte (sovrapponibile alla soluzione individuata da Renzo Piano nel 1992), non richiesta dal bando, in secundis la pianificazione futura di un ”…tracciato di circumvallazione ferroviaria della città, parallela in parte al tracciato della circumavallazione autostradale, in modo da poter deviare tutti i treni con merci pericolose che necessariamente per la sicurezza della cittadinanza devono transitare fuori dal centro cittadino” in seguito si aggiunge, riprendendo in toto le scelte progettuali del piano ferroviario, recentemente implementate con delibera n. 104 del 26 ottobre 2012 del COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, riguardante il Nodo di Bari ( Bari Sud / Tratta Bari centrale – Bari Torre a Mare) che la nuova tratta ferroviaria (tangenziale) permetterà “di spostare verso l’entroterra il tracciato ferroviario attuale a est di Bari parallelo e vicino alla costa, convertendo i binari in una lunga passeggiata pedonale e ciclabile alberata che connetta in continuità il grande Parco Centrale di Bari con le spiagge ad est della città,formando un sistema continuo di spazi pubblici di qualità, parchi, passeggiate pedonali e ciclabili, viali alberati, un corridoio verde di circa 9 chilometri di lunghezza, realizzato nell’ attuale spazio ferroviario.” La scelta relativa alla cancellazione della tratta costiera a sud-est di Bari non appare un’ottima soluzione. Quel tratto ferroviaria potrebbe, ad esempio, essere utilizzato come sede tramviaria (vedi PUM), spostando la pista ciclabile parallelamente al sedime, riqualificato e alberato con le tamerici, della attuale via costiera (ex SS 16). Così analizzato il progetto Fuksas non aggiunge dunque niente di nuovo alle note soluzioni ferroviarie individuate sia dal PUM nel giugno del 2009, sia dai recenti atti programmatici: DPP e approvazione di variante del tratto ferroviario sud-est. Il progetto appare dunque, escluse le sue non originali ipotesi di sistema, pressoché sovrapponibili a quelle di precedente data, come un mero piano insediativo da realizzare sulle preziose aree centrali.

    Conclusioni

    Le antiche ragioni di esistenza della città sono decadute, perciò quella che Rem Koolhaas chiama città generica abbandona ciò che non funziona (ciò che è sopravvissuto al proprio uso).
    La città generica “è ciò che rimane di quel che la città era una volta. La città è la post-città in corso di allestimento sul sito dell’ex città”.
    Si può forse immaginarla come un intrigo di mall , pezzi di città tematiche, sul sito dell’ex fabbrica, sul sito dell’ex luogo.
    L’architettura, perduti i suoi tradizionali caratteri referenti, diventa sempre più spettacolo mediatico, autoreferenzialità, citazione, narrazione, ipertecnologia, decostruzione, storicizzazione, simulacro incorporeo.
    Architettura svelata come oggetto dirompente, accattivante, quasi un prodotto di marca disteso su un limbo senza confini.
    Il suo scopo, volutamente, non è di ricomporre tessuti urbani, né di individuare relazioni con il suo intorno connettivo per risanare i conflitti tipo-morfologici della città post-moderna.
    Il suo scopo dichiarato è di provocare sensazioni, innescare linguaggi spaziali emotivi: suggestive concatenazioni di connessioni e riferimenti filologici, filosofici, scientifici, antropologici, poetici.
    Le antiche relazioni: forma-struttura, architettura-costruzione, spazio-struttura, forma-funzione, tipologia-morfologia, diventano statuti e fondamenti vuoti.
    L’abitare come concezione filosofica, il genius loci degli antichi, diventa così un fondamento da buttare alle ortiche.
    Nello scenario così definito gli architetti delineano metafore di virtuali progetti urbani, ognuno recita a proprio modo una straordinaria commedia. Spesso auto-clonano progetti, soluzioni automatiche (un new international style) per ogni clima e per ogni latitudine. Bari, nella sua accezione di global city region, di capofila dell’area metropolitana, è ancora in attesa di un’efficace pianificazione integrata, multilevel governace. Qui, in sostanza, “ si tratta di ripensare daccapo il funzionamento della macchina territoriale”, scriveva l’urbanista Bernardo Secchi su Casabella del 1995.
    Bari città-porto, gateway, porta verso l’oriente è dunque ancora da immaginare, in vista del suo naturale ruolo strategico di larga scala (global city). “Il futuro non si indovina; si produce con la visione e con la progettualità condivisa” ci ricorda Dipak R. Pant, professore nepalese ed esponente autorevole dell’extreme lands program.

  2. […] testo è comparso per la prima volta su 011+, qui. Lo riportiamo… a casa. Gli esiti di un concorso di idee, come le biennali, sono sempre […]

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