Necessità monumentale nel paesaggio dell’abbandono

attività | davide tommaso ferrando

Open lecture di Beniamino Servino

Sabato 1 giugno 2013 | h. 18:00 | Officine Grandi Riparazioni | cso Castelfidardo 22, Torino

Con il patrocinio di Artespazio e FAAC, nel contesto del Festival Architettura in Città 2013

I migliori architetti italiani del Novecento si sono spesso distinti per la capacità di coniugare, all’interno della propria opera, la dimensione del pensare con quella del progettare. Se è vero, come sosteneva Aldo Rossi, che l’architettura produce ed esprime il proprio discorso attraverso la combinazione di tutte le sue espressioni – testi, disegni ed edifici –, è anche vero che oggi, nella maggior parte dei casi, il disegno architettonico è ridotto a una pratica sterile e omologante (chi ha notato che i render delle proposte per il padiglione italiano all’Expo 2015 sono tutti uguali?), mentre i testi d’architettura raramente riescono a superare l’inutile condizione di rumore di fondo (anche in virtù del continuo crescere di un’editoria di settore “mordi e fuggi”, che privilegia il consumo rapido delle immagini fotografiche a scapito della lenta sedimentazione di cui i testi hanno normalmente bisogno). Come risultato, buona parte dell’architettura italiana si limita oggi a riproporre, privandole dei contenuti, forme sviluppate altrove ma spesso non comprese: una strategia che nell’ultimo decennio si è rivelata adeguata a un mercato ormai in via di disfacimento, ma che, contemporaneamente, non ha permesso l’instaurarsi sul nostro territorio di linee di ricerca originali.

Osservata in questo contesto, la traiettoria di Beniamino Servino costituisce una piacevole eccezione. Classe 1960, l’architetto casertano è uno dei migliori “ricci” in circolazione, recuperando la celebre definizione di Isaiah Berlin (già ripresa da Colin Rowe in Collage City) secondo cui, a differenza delle volpi “che sanno molte cose”, i ricci “ne sanno una grande”, nel senso che “riferiscono tutto a una visione centrale, a un sistema più o meno coerente e articolato, con regole che li guidano a capire, a pensare e a sentire – un principio ispiratore, unico e universale, il solo che può dare un significato a tutto ciò che essi sono e dicono”.

Nel caso di Servino, tale principio ispiratore sembra essere lo stesso titolo della conferenza che lo abbiamo invitato a tenere, “Necessità Monumentale nel Paesaggio dell’Abbandono”: un mantra composto di quattro termini attorno ai quali si costruisceuna ricerca poetica che si colloca nell’ambiguo territorio mentale definito dalla collisione tra costruzione e rappresentazione, tra realtà e utopia – un territorio sul quale si muovono, o si sono mossi, autori del calibro di Piranesi, Rossi, Hejduk, Scolari e Brodsky. Una ricerca nata a metà degli anni Ottanta nelle campagne del casertano, tra le rimesse agricole abbandonate – le famose pennate –, e che oggi investe critcamente, per mezzo di testi, disegni ed edifici, alcuni temi scomodi ma cruciali del discorso architettonico contemporaneo:

Abbandonare. Lasciare senza aiuto e protezione, lasciare in balìa di se stessi o di altri. Smettere di occuparsi di una cosa. Smettere di averne cura. Ma il paesaggio vuole [vuole!] essere abbandonato [mai più campi da golf, mai più!]

Davide Tommaso Ferrando

Info

  • organizzazione > Zeroundicipiù
  • luogo > Sala Duomo, Officine Grandi Riparazioni
  • indirizzo > c.so Castelfidardo 22, Torino
  • data > sabato 1 giugno 2013
  • ora > 18.00
  • sponsor > Artespazio, FAAC

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Una risposta a “Necessità monumentale nel paesaggio dell’abbandono”

  1. […] Torino 31/05/2013“Necessità monumentale nel paesaggio dell’abbandono”. [Davide Tommaso Ferrando | […]

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