[omissis] | davide tommaso ferrando
L’architettura è una scienza di luoghi, e quindi una scienza di casi.
La città è un’immobilità che rappresenta un’evoluzione. Infatti la complessità della città contemporanea è fatta anche della complessità della città di mille anni fa, che sopravvive, come complessità pietrificata, attraverso le ere della costruzione della città. La città è appunto questa pietrificazione, questa concretizzazione dei desideri e delle paure, questa realissima banca di tutti i futuri che si sono realizzati e di tutti i futuri che non si sono realizzati. La città è il prodotto di questo appiattimento: non è la storia sospesa o fermata, è la storia fatta cristallo, tradotta in un silenzio molteplice come le voci che sostituisce. Il confronto tra i differenti desideri e le differenti paure delle varie epoche diventa possibile perché, nella città, tutto questo mondo immateriale diventa parte della stessa materia immobile, e diventa così immediatamente comparabile. Per Rossi, la complessità della città si legge al suo interno e usando il suo alfabeto. A partire da questo rapporto tra organizzazione materiale e sostrato immateriale della città, il luogo diventa per Rossi il punto in cui questo intreccio si manifesta […].
L’organizzazione materiale del luogo vale per Rossi come indice dell’insieme di attese, bisogni, desideri, ambizioni, memorie che vi sono depositate. La complessità della società appare nel luogo già tradotta in un alfabeto materiale, già organizzata spazialmente, già messa in architettura, e vi appare in modo specifico, individuato, del tutto singolare. Reagendo al luogo, e solamente ad esso, l’architettura reagisce a tutto quello che vi è contenuto. Non c’è bisogno di altro. […]
Rossi legge la città come una grande natura morta, in cui contano le distanze, le ombre, lo spazio intrappolato tra gli oggetti. Le case, come le bottiglie di Morandi, sono strette le une accanto alle altre per motivi che non intendiamo più distintamente, eppure restano lì ferme, raggruppate; in qualche modo l’unica testimonianza dei gesti che le hanno prodotte sono proprio quelle posizioni. Il luogo si pone come centro di gravità di una relazione circolare in cui il progetto prefigura uno scenario, ma allo stesso tempo si lascia invadere, assorbe gesti, commedie, tragedie, fallimenti, successi. […]
L’architettura è una scienza di luoghi, e quindi una scienza di casi.
In quanto scienza di luoghi, all’architettura giova essere indifferente a tutto ciò che la distrae: lo stile, i simboli, i significati. Solo ai luoghi deve fare attenzione: ai luoghi, alla città, agli spazi e al legame dei gesti con gli spazi.
BAUKUH, Due saggi sull’architettura, Sagep, Genova 2012, pp. 114-118.
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