[omissis] | davide tommaso ferrando
La progettazione assistita dal computer pone specifici rischi alla riflessione sugli edifici.
Quando nella didattica delle facoltà di architettura fu introdotto l’uso dei sistemi CAD, sostituendo il disegno manuale, una giovane architetta del MIT ebbe a osservare: “Quando fai il disegno del terreno da edificare, quando ci aggiungi i tratteggi per il contrasto e gli alberi, quel terreno ti si radica nella mente. Arrivi a conoscerlo in un modo che con il computer non è possibile […] E arrivi a conoscerlo a furia di disegnarlo e ridisegnarlo, e non lasciando che sia il computer a ‘generarlo’ per te”.1 La sua non era nostalgia: queste osservazioni puntano il dito su ciò che va perduto nella nostra mente quando il lavoro davanti allo schermo sostituisce il disegno fisico. […]
A proposito della ripetizione e dell’esercizio, Renzo Piano osserva: “È un approccio tipico dell’artigiano. Pensare e fare contemporaneamente. Il disegno viene rivisitato. Lo fai, lo rifai, poi lo rifai di nuovo”.2 Questa metamorfosi circolare, che crea un legame, può essere impedita dal CAD. Una volta collocati i punti sullo schermo, il disegno lo fanno gli algoritmi; si fa un uso sbagliato delle macchine ogni qualvolta il processo diventa un sistema chiuso, un percorso statico dal mezzo al fine.
La progettazione assistita dal computer pone specifici rischi alla riflessione sugli edifici. Come osserva l’architetto Elliot Felix, a causa della capacità di cancellazione e ricreazione istantanee che il computer possiede, “ciascun intervento comporta meno conseguenze che se fosse fatto sulla carta […] dunque ci si riflette sopra con minor attenzione”3. […]
Quando disegna i mattoni a mano, uno per uno, per quanto l’operazione sia noiosa e ripetitiva, il disegnatore è indotto a pensare alla loro materialità, a confrontarsi con la loro solidità rispetto allo spazio vuoto rappresentato sulla carta dal vano di una finestra. Inoltre, la progettazione a mezzo computer impedisce al disegnatore di pensare l’idea di scala in contrapposizione all’idea di dimensione. L’idea di scala comporta un giudizio continuo sulle proporzioni; sullo schermo, la proporzione appare al progettista come relazione tra fasci di pixel. É vero che l’oggetto sullo schermo può essere manipolato in modo da apparire come se fosse visto, per esempio, da un osservatore posto al livello del terreno, ma […] l’immagine che appare sullo schermo è irrealisticamente coerente, viene normalizzata come mai potrebbe fare l’occhio umano. […]
Il tattile, il relazionale e l’incompleto fanno parte dell’esperienza fisica che si vive nell’atto manuale di disegnare. Il disegno simboleggia una gamma di esperienze più ampia, così come l’atto della scrittura comprende la revisione e la riscrittura, o l’atto di suonare uno strumento l’esplorazione all’infinito delle misteriose qualità di un certo accordo. Il difficile e l’incompleto dovrebbero essere eventi positivi della nostra attività intellettiva […]. I moderni programmi per computer sono in grado di imparare dall’esperienza, perché i dati di feedback riscrivono gli algoritmi. Il problema, come osserva Victor Weisskopf, è che c’è il rischio di demandare alle macchine questo processo di apprendimento, limitandoci a fungere da testimoni passivi e da consumatori di abilità tecniche sempre più ampie, senza parteciparvi. […] Gli abusi del CAD dimostrano come, quando la testa e la mano divorziano, è la testa a soffrirne.
La progettazione assistita al computer può servire da emblema di una grande sfida alla quale la società moderna si trova di fronte: come continuare a pensare da artigiani, facendo un uso corretto della tecnologia.
[1] SHERRY TURKLE, Life on the Screen: Identity in the Age of the Internet, Simon and Schuster, New York 1995, pp. 64, 281n.
[2] Citato in EDWARD ROBBINS, Why Architects Draw, MIT Press, Cambridge, Mass. 1994, p. 126.
[3] ELLIOT FELIX, “Drawing Digitally”, presentazione all’Urban Design Seminar, MIT, Cabridge, Mass., 4 ottobre 2005.
RICHARD SENNETT, L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 46-50.
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