significato

[omissis] | davide tommaso ferrando

Poco importa quello che le forme vogliono dire.

L’architettura è una questione di posizioni, di misure. Può ambire alla precisione, non al significato, e nemmeno alla libertà dal significato. L’architettura è un disponibile deposito di significati, una retorica tanto magniloquente quanto vaga, tanto perentoria quanto inconcludente. La questione relativa al suo significato è qualcosa che l’architettura non può pensare di risolvere per conto proprio, senza fare i conti con il linguaggio che la circonda. […]

Poco importa quello che le forme vogliono dire. Non bastano le pretese dell’architetto a impedire al linguaggio di prendere possesso dell’architettura, sistemarla nel contesto che preferisce, esaltarla o soffocarla, deriderla con il suo inesauribile campionario di beffe. Non sarà possibile costringere l’architettura a parlare con semplicità e nemmeno sarà possibile costringerla a tacere. Eliminate le due opzioni migliori, non resta che sfruttarne l’ambiguità. Usarne la coincidenza di menzogna e utopia.

BAUKUH, Due saggi sull’architettura, Sagep, Genova 2012, pp. 27-28.

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Il significante architettonico non rappresenta il significato.

Gli etnologi insegnano che nelle relazioni simboliche tradizionali gli oggetti sono portatori di significati. Spesso avviene che il valore simbolico sia separato da quello funzionale. Il Bauhaus tentò di riunire la coppia composta da significante e significato, perseguendo una mirabile sintesi. Il Bauhaus inoltre cercò di dare principio a una «semantizzazione universale dell’ambiente in cui ogni cosa diventasse l’oggetto della funzione e della significazione» (Jean Baudrillard). Questa funzionalità, ovvero la sintesi di forma e funzione, mirava a trasformare il mondo in un significante omogeneo, oggettivato come elemento della significazione: per ogni forma, ogni significante, c’è un significato oggettivo, una funzione. […]

Negli anni Settanta il postmodernismo in architettura, in parte subendo il fascino di queste connotazioni, e in parte rimpiangendo alcune forme tradizionali smarrite da tempo, tentò di combinare, citando Charles Jenks, «tecniche moderne con una costruzione tradizionale, al fine di comunicare contemporaneamente con il grande pubblico e con una élite» (dunque impiegando un «doppio-codice»). Esso era più che altro attento ai codici, a comunicare qualche messaggio, qualche significato (forse caratterizzato da ironia, parodia, eclettismo), e risultava dunque completamente allineato con quella che era la missione dell’architettura secondo la storia dominante, ovvero conferire a una costruzione un dato significato.

Dieci anni più tardi l’illusione stava già svanendo […]. L’instabilità e la caducità del significante e del significato, della forma e della funzione, della forma e del contenuto finivano per evidenziare solamente qualcosa di ovvio, cui Jacques Lacan aveva alluso già alcuni anni prima, ovvero che non sussiste alcuna relazione di causa-effetto tra il significante e il significato, tra la parola e il concetto cui si intende rimandare. […] Così come avviene nella letteratura e nella psicoanalisi, il significante architettonico non rappresenta il significato. Le colonne doriche e i frontoni al neon rimandano a troppe interpretazioni, perché una sola di esse possa essere giustificata. Ancora una volta, non c’è alcuna relazione di causa-effetto tra un segno architettonico e la sua possibile interpretazione. […] Non sono solamente i segni linguistici a essere arbitrari (come ci ha dimostrato De Saussure molto tempo fa), ma la stessa interpretazione è continuamente soggetta al dubbio. Qualunque interpretazione può a sua volta essere interpretata, al punto tale che ogni interpretazione può di fatto cancellare quella precedente. […] La storia dominante dell’architettura, che è incentrata sul significato, va dunque rivista in un’ottica in cui non c’è più una regola normativa, una relazione di causa-effetto tra una forma e la relativa funzione, o tra un significante e il suo significato, ma esiste solamente una deregolamentazione del significato.

BERNARD TSCHUMI, De-, dis-, s-, in MARCO BIRAGHI (a cura di), Le parole dell’architettura. Un’antologia di testi teorici e critici: 1945-2000, Einaudi, Torino 2009, pp.

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