[omissis] | davide tommaso ferrando
L’architettura è un atto critico materiale.
L’architettura è, fin dalle sue origini e prime codificazioni, una disciplina ambigua: più che costruzione, e un difficile “altro” rispetto alla filosofia. È una disciplina che emerge lentamente dalla necessità, è condizionata da altre pratiche ed è sempre caratterizzata dal tentativo di definire se stessa, il proprio ruolo e la propria specificità nel contesto di tutti i saperi che la sua realizzazione chiama in causa. Qualcosa di più della somma delle proprie parti, l’architettura produce il proprio sapere e il proprio pensiero; è capace di rappresentare e promuovere, ma anche di provocare, turbare e reinventare – tanto se stessa quanto il mondo. L’architettura non è soltanto costruzione; all’interno della costruzione essa produce ripetizione e innovazione, azioni combinate che necessitano ed esprimono una serie di decisioni critiche che non sono mai innocenti. L’architettura è un atto critico materiale. […]
Gli edifici rappresentano, ospitano e assistono a cambiamenti repentini. Ma come cambiano, gli edifici? E come si relaziona al cambio il relativamente lento tempo dell’architettura, tanto nella fisicità del fare quanto nel ripensamento della disciplina? L’architettura può solo rispondere al cambiamento, o accomodarlo, o lo può anche produrre?
All’inizio degli anni Venti Le Corbusier, nel suo famoso richiamo agli architetti – prima pubblicato nelle pagine della rivista L’Esprit Nouveau e poi in quelle di Vers une Architecture (1923) – aveva denunciato gli “occhi che non vedono”. Per Le Corbusier, gli occhi che non vedevano i cambiamenti in atto erano quelli degli architetti. Accecati dalla storia della loro disciplina e dalla ripetizione pedante di stili e pratiche centenarie, gli architetti erano incapaci o semplicemente non intenzionati a fare propri i rapidi cambiamenti della città moderna che gli ingegneri, nel frattempo, avevano già prodotto, progettato e gestito. L’ingegneria, la tecnologia e la stessa città erano cambiate più in fretta dell’architettura, la quale, secondo Le Corbusier, aveva il dovere di aggiornarsi e reinventarsi. Non si trattava di scegliere tra architettura e rivoluzione, ma di rivoluzionare l’architettura stessa. E rivoluzione fu.
Fin dai tempi dei dilemmi e del crollo del Movimento Moderno, l’architettura si è tormentata, mettendo in discussione i propri linguaggi e i propri ruoli – e anticipando, di fatto, i cambiamenti recenti attraverso le proprie ansie e insicurezze. Privata, ma anche liberata dalle certezze […] l’architettura diventa oggi un luogo di sperimentazione e innovazione. Le possibilità offerte dalle nuove tecniche di produzione, che comprendono sia la crescita sia l’adattamento, stanno proponendo una ridefinizione e riconcettualizzazione della forma architettonica […]. Un’architettura che, letteralmente, incorpori il cambio, non sta soltando facendo sue le nuove tecniche, ma si sta anche configurando come una critica della disciplina architettonica, espressa (messa in opera) attraverso la propria realizzazione.
TERESA STOPPANI, A Conversation of Many, in DAVID CHIPPERFIELD, KIERAN LONG, SHUMI BOSE (a cura di), Common Ground: a critical reader, Marsilio, Venezia 2012, pp. 83-84.
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L’essenza stessa dell’architettura sono la variazione e la crescita.
[…] l’architettura non appare solo come quantità di edifici realizzati, ma piuttosto come un processo evolutivo complesso, nel cui sviluppo, grazie a una reciproca azione interna, si determinano nuove soluzioni, nuove forme, nuovi materiali edili e sempre nuovi cambiamenti nell’ideologia della costruzione. […]
In tutti i tempi, nell’opposizione dell’uomo alla natura, è stata individuata chiaramente una netta aspirazione ad affrontare gli ostacoli in modo che ne fossero diminuite le conseguenze e il possibile loro effetto negativo a soluzione avvenuta.
Se osserviamo l’architettura da questo punto di vista, cioè come una particolarità della lotta dell’opposizione dell’uomo alla natura, ne scopriamo il vero carattere: l’evoluzione costante e sistematica. Nel processo del costruire, aumentando i problemi, aumentano gli elementi architettonici basilari: i problemi un tempo dominanti perdono d’importanza. Ne segue una “naturale variazione sul tema”, che è anche uno dei caratteri essenziali e più veri dell’architettura; nel nostro lavoro tenerne debito conto è di primaria necessità. […]
Per essere in grado di svolgere il proprio compito, cioè partecipare alla soluzione dei numerosi problemi umani, sociali, economici e psicologici, l’architettura deve disporre […] di un’ampia libertà di movimento, tanto interna quanto formale. Ogni costrizione formale – poco importa se generata da una tradizione stilistica fortemente radicata o da una attitudine all’uniformità derivante da equivoca interpretazione del concetto di architettura moderna – impedisce all’architettura di partecipare alla lotta per l’affrancamento dell’umanità diminuendone il significato e l’efficacia. […]
Contrariamente alla concezione corrente che pretende di vedere nelle forme definite e nella tipizzazione formale l’unico percorso possibile per giungere all’armonia in architettura con tecniche costruttive controllate, voglio ancora sottolineare che l’essenza stessa dell’architettura sono la variazione e la crescita, come nel mondo organico. Questo, alla fine, è l’unico vero “stile” in architettura.
ALVAR AALTO, Influenza dei processi costruttivi e della natura dei materiali sull’architettura contemporanea, in ID. Idee di architettura. Scritti scelti 1921-1968, Zanichelli,
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La definizione di architettura manifesta il valore attribuito a essa nel momento in cui è formulata.
L’architettura è una scienza, appartiene in generale al processo di conoscenza e si costruisce attraverso un insieme di regole individuate. […]
La definizione di architettura manifesta il valore attribuito a essa nel momento in cui è formulata: non ce n’è una sola, ma tante che rappresentano sinteticamente i diversi modi di intendere l’architettura nel tempo. Dunque è legata a un‘idea di architettura e contiene una teoria dell’architettura. Le definizioni che analizzeremo appartengono tutte a una famiglia di architetti che si sono tramandati una certezza: che l’architettura si fonda razionalmente. […]
Partiamo dalla definizione fondativa […]: quella di Vitruvio.
L’architettura è una scienza che è adornata di molte cognizioni e con le quali si regolano tutti i lavori che si fanno in ogni arte. Si compone di Pratica e Teorica. La Pratica è una continua e consumata riflessione sull’uso e si esegue con le mani dando una forma propria alla materia necessaria di qualunque genere essa sia. La Teorica è quella che può dimostrare e dare conto delle opere fatte con il raziocinio. L’architettura si compone di Ordinazione, Disposizione, Euritmia, Simmetria, Decoro, Distribuzione.1 […]
Francesco Milizia2 riprende la definizione di Vitruvio […]. Étienne-Louis Boullée la ribalta e apre la discussione su ciò che sta a monte delle regole del mestiere, sui fini dell’architettura, sul suo significato. Si domanda Boullée:
Cosa è l’architettura? La definirò io con Vitruvio l’arte del costruire? Certamente no. Vi è in questa definizione un errore grossolano. Vitruvio prende l’effetto per la causa. La concezione dell’opera ne precede l’esecuzione. I nostri antichi padri costruirono le loro capanne dopo averne creata l’immagine. È questa produzione dello spirito che costituisce l’architettura e che noi di conseguenza possiamo definire come l’arte di produrre e di portare fino alla perfezione qualsiasi edificio […]. Portare una costruzione qualsiasi alla sua perfezione. In cosa consiste questa perfezione? Nell’offrirci una decorazione relativa a quel tipo di costruzione a cui si trova applicata; ed è attraverso una distribuzione conveniente alla sua destinazione che si può presumere di portarla a perfezione. […] Sarà la disposizione delle masse fra di loro, con la luce e con le ombre che, come avviene in natura, comunicherà le sensazioni relative al carattere degli edifici.3 […]
Le Corbusier dà una definizione di architettura molto simile a quella di Boullée:
L’architettura è il gioco sapiente, corretto, magnifico dei volumi sotto la luce […]. Mediante l’uso di materiali grezzi deve stabilire rapporti emotivi […]. L’architettura è arte nel senso più elevato, è ordine matematico, armonia compiuta grazie all’esatta proporzione di tutti i rapporti.4 […]
La questione che dobbiamo approfondire, per andare oltre ogni sospetto di formalismo che la definizione di Le Corbusier ci può lasciare, riguarda il rapporto tra la forma e la sua destinazione. Per chiarire definitivamente questo rapporto ci rivolgiamo alla definizione di architettura di Adolf Loos, da questo punto di vista esemplare:
Se in un bosco troviamo un tumulo lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto un uomo. Questa è architettura.5 […]
Tre importanti filosofi, Schelling, Hegel e Lukács, si sono cimentati nella loro Estetica con il difficile tema dell’Architettura. Dal loro punto di vista hanno formulato tre importanti definizioni ai architettura.
Hegel:
L’architettura classica sviluppa a bellezza il tipo fondamentale della casa […]. La casa è una costruzione assolutamente rispondente, creata dall’uomo per fini umani. In essa l’uomo si manifesta.6
Lukács:
L’architettura è costruzione di uno spazio reale, adeguato, che evoca visivamente l’adeguatezza.7 […]
Prima di concludere con la definizione di architettura di Schelling, e perché questa risulti più chiara, voglio ricordare quella di un altro grande architetto, Mies van de Rohe:
Chiarezza costruttiva portata alla sua espressione esatta. Questo è ciò che io chiamo architettura.8 […]
Schelling, l’idealista tedesco compagno di Hegel, dice che l’architettura è metafora della sua costruzione. Le sue parole esatte sono:
L’architettura è rappresentazione di se stessa in quanto costruzione rispondente a uno scopo.9
Questa definizione, a prima vista sibillina, chiarisce quanto detto fin qui. Pensiamo alla disputa a distanza fra Vitruvio e Boullée. Vitruvio dice che l’architettura è l’arte di costruire, è costruzione; Boullée che l’architettura non è costruzione, ma rappresentazione. Schelling compone questa disputa sostenendo che l’architettura è la rappresentazione dell’atto costruttivo, appunto metafora della sua costruzione. Comprende cioè un momento che la distingue come arte, che consiste nel voler esaltare – direbbe Boullée -, rappresentare – diciamo noi – il senso della costruzione e dei suoi elementi.
[1] B. Galiani, L’architettura di M. Vitruvio Pollione, Stamperia Simoniana, Napoli, 1758, p. 5.
[2] F. Milizia, Principj di architettura civile, Mazzotta, Milano, 1973.
[3] É.-L. Boullée, Architettura. Saggio sull’arte, Marsilio, Venezia, 1967, pp. 55, 151-152.
[4] Le Corbusier, Verso un’architettura, Longanesi, Milano, 1973, pp. 16, 21 e 9.
[5] A. Loos, Architettura, in Id. Parole nel vuoto, Adelphi, Milano, 1972, p. 255.
[6] G. W. F. Hegel, Estetica, Feltrinelli, Milano, 1963, p. 875.
[7] G. Lukács, Estetica, Einaudi, Torino, 1960, p. 1210.
[8] W. Blaser, Mies van der Rohe. Lehre und Schule, Birkhäuser, Basilea, 1977, p. 15.
[9] F. W. J. Schelling, Filosofia dell’arte, Prismi, Napoli, 1986, p. 236.
ANTONIO MONESTIROLI, La metopa e il triglifo. Nove lezioni di architettura, Laterza, Roma-Bari, pp. 15-28.
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