paesaggio

[omissis] | davide tommaso ferrando giovanni benedetti

Paesaggio è il mondo unificato dallo sguardo.

La nozione di paesaggio è una nozione culturale, una nozione non quantificabile e in evoluzione. Sul paesaggio negli ultimi decenni sono cambiate radicalmente le idee. Se pensiamo, ad esempio, che il deserto fino agli anni Trenta del secolo scorso era ritenuto un posto terrificante, mentre oggi è una meta ambitissima, si capisce come sia mutevole la nozione di paesaggio. Sino all’800 le Alpi erano considerate inguardabili, ma poi il paesaggio alpino è diventato un fatto estetico con la pittura romantica: non troviamo prima del Romanticismo nessun dipinto di paesaggio alpino. Come si vede, è dalle attività di rappresentazione che si sviluppa il valore estetico. […]

Con l’acquisizione al campo estetico dei nuovi scenari del “pluralismo” paesaggistico fanno ingresso paesaggi un tempo ritenuti poveri o desolati. Di sicuro oltre questa estensione del campo estetico vi è un allargamento del campo operativo del paesaggismo ad ambiti prima trascurati, e questo soprattutto per l’iniziativa dei paesaggisti francesi. Una caratteristica peculiare della visione dei francesi […] dipende dallo stretto legame di questa cultura paesaggistica emergente con la cultura architettonica e urbanistica, tanto da costituire un’alternativa alla tradizione anglosassone sostanzialmente antiurbana, contraddistinta com’è dall’opposizione natura-artificio e architettura-paesaggio.

La nuova cultura del paesaggio dei francesi nasce sullo sfondo delle problematiche scaturite dallo sviluppo di un territorio intensamente urbanizzato e infrastrutturato, perciò tale cultura si sviluppa in stretto legame con le trasformazioni urbane e territoriali in atto e con lo scopo di far fronte alle esigenze dei soggetti investiti dagli effetti di tali trasformazioni: il paesaggismo non più come arte per produrre “luoghi altri”, come riserva di senso nei confronti di un mondo secolarizzato, urbanizzato, infrastrutturato. […]

Come ogni scienza o gruppo di scienze cerca di comprendere un particolare frammento di realtà (la realtà fisica o quella economica o quella sociale, exx.), ugualmente i manufatti e i sottosistemi che operano le trasformazioni del territorio […] sono espressioni degli ambiti di “scienze” separate, ciascuna attenta a produrre e a rendere razionale il suo frammento di realtà. Il sistema della mobilità, lo sviluppo della logistica, l’organizzazione delle reti di distribuzione dell’energia, l’organizzazione delle aree produttive, lo smaltimento dei rifiuti, la sistemazione delle zone residenziali, ecc. Il problema però è che noi sentiamo anche di vivere in un mondo unico, non in tanti mondi diversi, uno per ognuna delle scienze che abbiamo costruito, E questa vista d’insieme, questo mondo unificato dallo sguardo, possiamo chiamarlo paesaggio.

PIERLUIGI NICOLIN, La verità in architettura. Il pensiero di un’altra modernità, Quodlibet, Macerata 2012, pp. 33-34, 86-87, 91.

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Il territorio e il paesaggio sono diventati luoghi anonimi, dove possiamo trovare di tutto, uno sterminato emporio del moderno.

[…] quello che mi aveva colpito maggiormente […] era stato il racconto del mio accompagnatore, il signor Zucchini, curatore dell’Archivio della famiglia Morandi, che riguardava in particolare la disperazione e lo sconforto che colse l’artista, quando vide sorgere, proprio di fronte alla finestra del sui studio, un enorme condominio stile anni sessanta, balconcini, tapparelle e relativo intonaco giallino.

La grandezza del palazzo unita al suo colore avevano determinato un’alterazione sulla quantità e la qualità della luce all’interno dello studio, di tali proporzioni, che Morandi fu costretto a costruire delle strutture in tela che, opportunamente orientate, ristabilivano una accettabile luminosità per gli oggetti allineati davanti al muro dello studio, pronti per essere dipinti. Questo congegno chiamato da Morandi “velantino” ridava alle sue nature morte quello che la mutazione della città aveva tolto loro, la luce rianimava di nuovo gli oggetti.

Quegli squarci di case, le altane, i tetti leggermente obliqui, quei piccoli ritagli di azzurro in fondo alle strade, che erano apparsi in tanti disegni e nelle incisioni, erano completamente scomparsi.

Questa “perdita del paesaggio” credo possa ben rappresentare e definire il punto da cui partire o ripartire per parlare di indagine territoriale.

La sparizione del paesaggio che avviene, di norma, come mutazione dello spazio esistente, è accompagnata da quella altrettanto importante dell’ambiente in generale, sparizione che interessa anche il campo d’attenzione.

E succede che tutte le discipline riguardanti la rappresentazione, come fotografia, cinema, letteratura, ecc., è come se fossero colpite da una forma di indicibilità se non da una vera e propria afasia, nel momento in cui si trovano a dover incontrare l’aperto del mondo esterno. E’ probabile che questo dipenda dal fatto che il territorio e il paesaggio sono diventati ormai luoghi anonimi, dove possiamo trovare tutto e di tutto, come in uno sterminato emporio del moderno, pieno di segni, segnali, insegne, gente, automobili e fabbricati, e ancora squarci di paesaggio, torri, palazzi, cortili, giardini e che quindi il nostro sguardo, al primo approccio, renda questi luoghi come qualsiasi altra località occidentale. Stranamente ed è un fatto che mi ha sempre sorpreso, solo gli abitanti riconoscono a questi luoghi una loro particolarità e un carattere preciso, al quale non rinunciano, pur avendo la consapevolezza che il paese, la borgata, o la città più vicina a est o ovest, non importa, somigliano moltissimo ai luoghi in cui essi vivono.

E’ forse che li guardano come se leggessero il palmo della loro mano, sapendo che per scoprire qualcosa bisogna farlo con estrema attenzione, perché oltre alle linee principali che sono nette e chiare, ce ne sono tante altre, piccolissime che le intersecano e che nell’insieme ne determinano l’unicità.

Le molte problematiche che da sempre accompagnano la fotografia del territorio possono essere solo come uno sfondo necessario per poter interpretare e rintracciare il nuovo percorso. In questo vie è anche la consapevolezza degli avvenuti mutamenti e, di fronte allo sconfinato mondo che esplode all’interno dei territori, bisogna ricercare una nuova lingua comune, consci che ogni parola, suono, figura, fotogramma, immagine, fotografia, dipinto, sono diventati intere costellazioni di significati e rimandi, eco e miscugli di diverse forme ed etnie.

LUIGI GHIRRI, Una luce sul muro, in Paola Borgonzoni Ghirri (a cura di), Il senso delle cose. Luighi Ghirri Giorgio Morandi, Diabiasis, Reggio Emilia, 2005, pp. 13-15.

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