[omissis] | davide tommaso ferrando
Soltanto una piccolissima parte dell’architettura appartiene all’arte: il sepolcro e il monumento.
L’opera d’arte è una faccenda privata dell’artista. La casa no. L’opera d’arte vien messa al mondo senza che ce ne sia bisogno. La casa invece soddisfa un bisogno. L’opera d’arte non è responsabile verso nessuno, la casa verso tutti. L’opera d’arte vuol strappare gli uomini dai loro comodi. La casa è al servizio della comodità. […] L’opera d’arte indica all’umanità nuove vie e pensa all’avvenire. La casa pensa al presente. […]
Dunque la casa non avrebbe niente a che vedere con l’arte, e l’architettura non sarebbe da annoverare tra le arti? Proprio così. Soltanto una piccolissima parte dell’architettura appartiene all’arte: il sepolcro e il monumento. Il resto, tutto ciò che è al servizio di uno scopo, deve essere escluso dal regno dell’arte.
Soltanto quando verrà superato il grave malinteso che l’arte sia una cosa che può rispondere a un determinato scopo, soltanto quando dal lessico dei popoli sarà scomparsa la menzognera espressione “arte applicata”, soltanto allora avremo l’architettura del nostro tempo. L’artista deve essere al servizio solo di se stesso, l’architetto della società. L’umanità, per colpa di questa confusione, non sa più che cosa sia l’arte. Con furia insensata essa perseguita l’artista e in questo modo impedisce la creazione dell’opera d’arte. […]
L’umanità non sa più che cosa sia l’arte. “L’arte al servizio del commerciante” si chiamava una recente esposizione a Monaco e non si trovò nessuna mano che castigasse l’espressione insolente. E nessuno ride della bella espressione “arte applicata”.
Chi invece sa che l’arte esiste per condurre gli uomini sempre più avanti, sempre più in alto […] trova che la confusione degli scopi materiali con l’arte è la profanazione dell’Altissimo. Gli uomini non lasciano fare all’artista perché non incute loro rispetto e l’artigianato, oppresso dal peso schiacciante delle esigenze ideali, non può svilupparsi liberamente. L’artista non può essere sostenuto presso i suoi contemporanei da nessuna maggioranza. Il suo regno è l’avvenire.
Poiché esistono edifici di buon gusto ed edifici di cattivo gusto, la gente suppone che i primi siano opera degli artisti e i secondi dei non-artisti. Ma costruire con gusto non è ancora un merito, come non è un merito non mettersi il coltello in bocca o pulirsi i denti al mattino. Qui si confonde l’arte con la civiltà.
ADOLF LOOS, Architettura, in ID., Parole nel vuoto, Adelphi, Milano 2011, pp. 253-55.
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