L’ampliamento del cimitero di Tavazzano sperimenta una nuova relazione tra città dei vivi e luoghi dei morti, instaurando un legame inedito e interessante tra architettura funeraria e paesaggio. Il progetto costruisce con intraprendenza la suggestione del cimitero-parco, dove alle esagerazioni individualistiche tipiche dei modelli latini si sostituisce una monumentalità diffusa, garbata, per certi versi “domestica”.
Quale alternativa al tradizionale cimitero urbano densificato, la proposta disegna un intenso spazio verde, un luogo della rarefazione, una specie di prezioso giardino in cui essenze vegetali dispensano colori e profumi durante tutto l’anno. Qui, il progetto sviluppa un’immagine anticonvenzionale dello spazio cimiteriale, un luogo luminoso e trasparente, lieve e sospeso.
La leggerezza è propria, prima di tutto, del limite. Ribaltando completamente il sistema insediativo classico fondato sull’addensamento delle costruzioni lungo il margine del recinto, Il bordo, soglia di demarcazione tra suolo sacro e spazio della campagna, abbandona ogni opacità massiva per divenire diaframma attraversabile, non alle persone ma agli elementi naturali. Una cortina murata in laterizio a vista alta tre metri è scavata da un motivo a “gelosia” che oltre a citare il linguaggio puro ed essenziale dell’architettura rurale lodigiana dona al limite un’insolita trasparenza. Il muro, simile ad un traforo, è percorso dalla luce e dalle brezze; l’occhio del visitatore, pur all’interno, è libero di oltrepassare il confine, perdersi nelle distese dei campi, assaporare la bellezza dell’orizzonte.
Racchiuso entro il nuovo limite permeabile, le costruzioni del cimitero storico e gli edifici dei precedenti ampliamenti, lo spazio del nuovo intervento è concepito come un grande giardino di sculture.
I corpi architettonici, semplici e rigorosi, sono fatti per non distrarre, per nulla togliere alla riflessione e al raccoglimento individuali; essi traggono la loro bellezza dal non avere nulla di superfluo, e paiono semplicemente appoggiarsi, senza inciderlo, sul piano verde dei campi.
Le costruzioni, disposte liberamente secondo uno schema planimetrico elementare, si allontanano dal confine e si dispongono secondo slittamenti reciproci utilizzati come espediente di ripartizione dello spazio; il giardino, articolato da lunghe quinte architettoniche parallele, realizza uno scenario percettivo complesso, interessante, mutevole, sempre diverso ad ogni passo.
I tre edifici, similmente al muro di confine, spingono il proprio lessico progettuale verso i termini di un’apparente immaterialità: un portico ininterrotto, definito da un ordine gigante di esili pilastri alti oltre cinque metri, allestisce un suggestivo spazio coperto al di sotto del quale, come frammenti, si dispongono i volumi per la sistemazione dei loculi. Questi ultimi accolgono nelle testate le fontanelle per l’approvvigionamento dell’acqua e locali tecnici per il deposito degli attrezzi di pulizia e manutenzione.
Carattere differente dimostrano invece le cinque edicole private che, nel procedimento di recupero del preesistente fronte sud, si addossano alle cappelle già insediate nella parte più ad ovest del cimitero storico. I volumi prismatici, rivestiti interamente in travertino naturale, assumono apparente sostanza monolitica; soltanto due le aperture perimetrali: l’ingresso alla camera di preghiera, incorniciato da un portale metallico che ricava nella superficie lapidea una specie di varco di passaggio, ed una grande bucatura che, spinta in alto da una suggestiva copertura a falda unica fortemente inclinata, si lancia alla ricerca dell’atmosfera. Questi piccoli edifici indipendenti aprono le loro finestre direttamente al cielo, verso est, catturando il sole delicato del mattino e modellando uno spazio denso di luce, vibrante, intensamente emozionale.
Il posizionamento degli edifici e l’interazione dei corpi architettonici con il recinto permeabile definiscono una serie di spazi in sequenza, ambiti conclusi, intimi e raccolti nei quali il visitatore può scegliere di approfondire la meditazione o semplicemente riposare per qualche minuto su di una seduta.
Il tappeto verde, in cui volumi di cipressi filiformi si accorpano in dense masse arboree disegnando “edifici” vegetali non permanenti, è ripartito in cinque cromogiardini, ognuno caratterizzato dal colore delle essenze arboree ed arbustive che vi dimorano. Da ovest, il giardino azzurro, il giardino bianco, il giardino rosa, il giardino rosso ed il giardino giallo.
Le essenze vegetali rustiche, tutte autoctone o naturalizzate, sono selezionate appositamente per garantire allo spazio cimiteriale il colore di almeno una fioritura per ogni mese dell’anno e per ridurre al minimo il carico manutentivo. Solamente una specie arborea presenta fogliame deciduo, mentre le restanti conservano chioma sempreverde; gli arbusti scelti risultano comunemente annoverati tra le essenze più resistenti, facilmente adattabili anche a condizioni ambientali problematiche e a più lunga e costante fioritura annuale.
I percorsi pedonali che si dipartono dai due ingressi individuati dalle preesistenze vengono protetti da una pensilina continua progettata per produrre il minimo impatto visivo d’insieme. Elemento completamente indipendente rispetto ai corpi architettonici degli edifici, essa trae comunque da questi il rigore formale e la semplicità compositiva. Ne risulta un sistema in cui esili elementi verticali sostengono un leggero piano orizzontale continuo che disegna un percorso coperto di larghezza sufficiente a riparare i cortei funebri. Il posizionamento dei sostegni lungo un solo lato consente alla copertura il mantenimento di una completa apertura verso i giardini. Il percorso protetto abbraccia la cappella comunale allestendo proprio nelle sue immediate vicinanze uno spazio di raduno utile al pubblico per assistere alle celebrazioni liturgiche anche in caso di maltempo. L’associazione di pensiline ed edifici porticati genera un ininterrotto “circuito” di sentieri protetti che consente ai visitatori l’utilizzo del cimitero anche in caso di condizioni meteorologiche avverse.
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