WatAIR Pavillon [dialogo critico]

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DTF: Caro Stefano: trovo il progetto interessante per la sua semplicità, ispirazione e definizione. L’idea di dare forma all’aria passando attraverso l’acqua è acuta, e la configurazione geometrica essenziale vi permette di non allontanarvi troppo dal seminato. Ho, però, alcune perplessità in merito al progetto, che mi piacerebbe porti, invitandoti, se ti va, a rispondermi per chiarire quelli che ritengo essere i punti deboli del vostro progetto.

In primo luogo, la retorica: il lavoro progettuale che avete svolto è essenziale, cerca di andare alla radice di un problema formale semplice (che forma ha l’aria?) e di darvi risposta con una struttura altrettanto semplice (una serie di tori gonfiati posti uno sopra l’altro). Trovo che questa sia la parte davvero lodevole del vostro iter progettuale, e che quelli che mi sembrano dei tentativi di dare un più profondo fondamento teorico a un’operazione essenzialmente empirica, rischino di “macchiare” la pulizia del vostro ragionamento. L’evocazione delle differenti fasi delle bolle d’aria, ad esempio, è un “di più” che non aggiunge nulla al vostro lavoro – architettonicamente inteso –, e laddove tale evocazione diventa legge geometrica per definire la sezione dei tori, il rischio è quello di far passare in secondo piano le esigenze fisiche degli elementi del padiglione (la cui forma deve collaborare alla possibilità che questo ha di stare in piedi, e non prescindere da essa) rispetto al bisogno che questo ha di rimandare direttamente alla sua fonte d’ispirazione.

Proprio nella dialettica tra realtà e ragionamento si installano, a mio parere, i problemi più evidenti del vostro lavoro. Il padiglione vuole essere introverso, ma ha delle finestre (perché?). La dimensione dei tori serve a inscrivere la forma complessiva in un’ellissi, ma mi chiedo se la configurazione geometrica finale sia davvero quella più adatta a tenere insieme, staticamente, gli elementi del padiglione (forse troppo piccolo il toro più basso rispetto agli altri, forse troppo sottili le cuciture perché la struttura sia tutta collaborante – anche l’aria ha un peso). Lo spazio interno vuole essere un canale verticale, ma in realtà ha una sezione quasi sferica (che alla sommità si restringe, dunque occultando parte di quel cielo che i visitatori sarebbero chiamati a osservare). Non è poi chiaro perché la superficie esterna sia trasparente, e in che senso il padiglione possa integrarsi con i differenti contesti, se non per semplice addizione (tra l’altro, in questo caso, non proponete neanche un’immagine, o una serie di immagini, a sostegno di quanto sostenete).

Tutte queste osservazioni sono volte a sottolineare come, nella vostra ricerca di una “forma minima”, forse vi siate lasciati trasportare da un’esigenza di teorizzazione e complessificazione (horror vacui?) che mi sembra vi allontanino dalla vera essenza della vostra proposta (mi ricorda un po’ il tentativo non sempre riuscito di Steven Holl di fondare filosoficamente architetture che, di tale fondamento, non avrebbero alcun bisogno).

SC: Buongiorno Davide, ho sempre la convinzione che l’architettura in modo un pò presuntuoso possa raccontarsi da sola, farsi lei stessa portavoce di pensieri ed emozioni, per questo tendo ad essere molto sintetico nella comunicazione “asciugando” molto disegni e testi.

La nostra proposta non ha la minima ambizione di dettare regole per una nuova base teorica, la bolla d’ aria in acqua è stata per noi fonte primaria di studio e ispirazione per immaginare lo spazio interno del padiglione. Abbiamo scattato e studiato decine e decine di fotografie subacquee che documentano tutti i cambiamenti della forma della bolla d’aria in acqua durante tutto il suo breve ciclo di vita. A nostro parere il  risultato a cui siamo arrivati con il progetto watAIR è interessante proprio perché sintetizza tale lavoro di ricerca e racchiude al suo interno il cerchio e l’ellisse contemporaneamente (le due forme geometriche pure che definiscono la bolla); inoltre, anche da un punto di vista statico pare funzioni molto bene.

Il padiglione è realizzato con due strati di materiale plastico. Quello esterno con una opacità (30% circa) e quello interno con una opacità (80% circa). Il risultato è una quasi negazione del rapporto interno/esterno. Un passaggio di luce e colori, una vista da contorni sfocati, che ricorda “una vista subacquea”.

Le aperture, sono solo piccoli varchi; quelle di dimensioni maggiori sono collocate ad una altezza tale che consentano l’ingresso di fasci luminosi, ma da cui non è possibile affacciarsi. Interessante anche immaginarlo dall’esterno in una versione notturna.

La relazione con il contesto per noi non ha nessuna importanza (non la aveva neanche per il bando in questione, non era richiesta una sua collocazione in un ambiente specifico). Per questo motivo all’interno dei nostri elaborati non compaiono foto-inserimenti in luoghi predefiniti.

L’architettura da noi proposta, non avendo chiusure inferiori e superiori punta a creare una relazione diretta con il suolo e con l’aria (il cielo). In questo senso va vista la creazione di un “canale visivo” verticale e una chiusura orizzontale.

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