SE7TIMI IN QVINTA [dialogo critico]

Davide Tommaso Ferrando: cari Davide e Pietro, vi spiego, brevemente, i punti del vostro progetto che ritengo problematici.

Un primo problema, comunque minore (dato che in architettura una quota d’arbitrio c’è sempre, come insegna Moneo), riguarda la coerenza del salto logico da voi operato tra l’analisi delle caratteristiche del sito e del contesto, e la scelta operativa di utilizzare la volumetria (al negativo) di Palazzo Chiablese. Mi sfugge, infatti, la relazione tra l’osservazione delle “poche tracce storiche rimaste” e “la pianta dell’antico palazzo”: se, dal  punto di vista architettonico, il riferimento tipologico (cosa che, comunque, mi sembra non venga fatta in questo lavoro, dato che come riferimento viene preso, se non sbaglio, il solo ingombro in pianta) è stata in passato (ed è ancora) una giustificata strategia di intervento all’interno di un tessuto preesistente, dal punto di vista del discorso che avete costruito, l’operazione mi sembra non reggere.

Un secondo problema è la mancanza, a mio parere, di un tema strategico “forte”, attorno al quale far gravitare la vostra proposta. La soluzione progettuale sembra infatti scaturire dall’accostamento di una serie di ragionamenti e proposte indipendenti, la cui sintesi in una “struttura” (che, come scrive Mies, è “tutt’uno, dalla testa ai piedi, fino al più piccolo dettaglio, e tutto con la medesima idea”) evidentemente non avviene. C’è il tema della promenade architecturale che, però, non permette di “osservare” niente di interessante (verso l’interno c’è solo la biglietteria e la vista verso l’esterno è schermata dalla superficie traforata) e non collega tutti i livelli dell’edificio (per arrivare alla terrazza è necessario prendere l’ascensore o una seconda scala). C’è il tema della quinta scenografica che, però, è risolto in maniera discordante: da un lato volete mettere in risalto la scansione ritmica dei pilastri in acciaio, frutto di una vostra interessante analisi geometrica sul sito, e dall’altro volete ricoprire il volume costruito con una superficie continua traforata. Come risultato, la scansione ritmica è parzialmente “mascherata” dalla superficie in corten, e la continuità della superficie in corten è “interrotta” dai pilastri (stesso errore rilevato nel progetto vincitore del concorso, se non sbaglio). Sarebbe probabilmente stato più corretto scegliere tra uno dei due temi, invece che cercare di risolverli entrambi. C’è infine il tema delle due “scatole” sopra l’edificio che però, curiosamente, utilizzano linguaggi e materiali estremamente diversi tra di loro.

© Davide Capellero, Pietro Bongiovanni

Quello della scelta dei linguaggi e dei materiali è il terzo problema che rilevo: legno, due tessiture diverse di pietra, corten, vetro, laterizi, tetto giardino, acciaio, superfici traforate, curtain wall, aperture modulari, pareti ventilate… il vostro progetto non prende una posizione chiara e decisa rispetto alle tecniche di cui si serve, risultando così in un pastiche (un po’ di Herzog e de Meuron, un po’ di Campo Baeza, un po’ di Grassi etc.) architettonico. Ci vuole un po’ più di selezione e coerenza :)

© Davide Capellero, Pietro Bongiovanni

Vorrei poi mettervi in guardia dall’utilizzo letterale di strumenti come l’analogia e la metafora in achitettura:  la trama vegetale della vostra superficie in cor-ten non è infatti sufficiente a garantire il rapporto con il contesto (tra l’altro, per quale motivo secondo voi il cor-ten, più di altri materiali, possiede una “elevata integrazione con l’intorno”?). Al di là della scelta grafica, quello della traforatura di una facciata è un problema principalmente di “decoro” (o, nei casi peggiori, di “ornamento”), ed è piuttosto l’effetto percettivo di un volume scatolare tamponato in cor-ten traforato, indipendentemente dal disegno della foglia, che deve essere preso in considerazione, se si vuole valutare l’impatto paesaggistico di questo lavoro (effetto che di per sé, a mio parere, non è scorretto).

Davide Capellero, Pietro Bongiovanni: partendo dal presupposto che lo studio compositivo e le scelte operate sono state analizzate in maniera più approfondita del paragrafo che ti abbiamo inviato; i vincoli del concorso hanno impresso un segno notevole sull’elaborato finale. Infatti, la centrale termica e i servizi igienici del piano terra attualmente esistenti non potevano essere spostati, vincolando significativamente gli spazi attorno ad essi. Da questo fatto si è tentato di elaborare uno schema compositivo il più omogeneo possibile alle modularità della pree­sistenza. Dato il perimetro rettangolare dell’in­tervento inserito nella dimensione standard del cortile, si è potuto cala­re al suo interno una maglia con dimen­sioni di sottomultipli del modulo della villa (questi dimensionamenti sono stati studiati precedentemente). Il risultato è stato la progettazione di un nuovo ambiente, diviso in sette campate (numero ripreso nel motto del concorso), compositivamente e ideologicamente legato alla trama della Vil­la ed ai giardini. Questa soluzione è stata adottata an­che per evitare di percorrere facili strade quali, la riproposizione in chiave contemporanea del porticato di collegamento alla Villa (elemento di secondaria importanza, costruito suc­cessivamente e slegato da moduli e altri segni forti) o l’utilizzo degli assi principali del parterre laterale (altra preesistenza di livello inferio­re precedentemente descritta). Su queste analisi, osservando quel­le che erano le poche tracce storiche rimaste, si è deciso di utilizzare la pianta dell’antico palazzo Chiablese per definire le volumetrie del secondo piano. Secondo metodologie di scompo­sizione architettonica, riprese dalle teorie e dagli esempi di Eisenman, (come nel giardino dei passi perduti) i nuovi pieni volumetrici sono stati inseriti sopra il disegno degli antichi vuoti, rappresentati dai cortili interni del palazzo. Il fatto di riprende il sedime della preesistenza e renderlo “visibile” dai giardini retrostanti, dando quindi una lettura “stratigrafica”, a nostro avviso giustificava la scelta operata. La pianta in quanto unica memoria storica rimasta del palazzo, funge da tramite tra il passato e il nuovo intervento. Sempre a nostro avviso, gli altri elementi di richiamo visibili esclusivamente in dipinti e fotografie storiche, non erano più utilizzabili in quanto ormai avulsi dal contesto. Riferendoci al tuo secondo punto, il tema del progetto è stato basato sulla composizione in moduli gerarchicamente suddivisi dell’intero complesso. Partendo da questo dato di fatto, vengono sviluppate attraverso matrici modulari tutte le parti funzionali dell’edificio.

© Davide Capellero, Pietro Bongiovanni

Rispondendo alle perplessità intorno alle passerelle, il loro utilizzo è stato dettato dalla volontà di avere un percorso espositivo continuo. In altre parole, queste oltre che concludersi formalmente e ideologicamente nella sala espositiva al primo piano (a conclusione di un percorso di apprendimento), sono esse stesse spazi fruibili per installazioni multimediali e temporanee (visibili da più punti di vista). Sempre ricollegandosi al concetto di accoglienza, fruibilità e funziona­lità degli spazi, questo tracciato è da considerarsi come relazione “tra spazialità e museografie possibili; l’architettura inter­preta modi di essere e di propor­si dell’istituzione museale”. Secondo impostazioni sempre più uti­lizzate, attraverso l’uso di modalità e accorgimenti didattici tratti dal­la tradizione museale, dalle tecniche delle arti visive, dalla divulgazione scientifica più aggiornata, l’acco­glienza del visitatore prosegue di pari passo alla sua preparazione. Nel percorso obbligato si vuole fornire a chi si avvicina alla Residenza una chiave di lettura preliminare attraver­so l’esperienza spaziale, la fruizione culturale e artistica offerta. Gli spazi dell’accoglienza e della co­municazione che possono ospitare an­ticipazione ludica e intrattenimento, sono anche luogo di meditazione e matu­razione di un pensiero che si avrà pia­cere di portar con sé alla conclusione della visita. L’attuazione pratica di questi concetti è attuata anche attraverso l’utilizzo di schermi oleografici inte­rattivi. Nella hall centrale sono previste anche installazioni visibili e godibili da un punto di vista soprelevato. L’ultimo piano (come richiesto dal concorso), avendo la funzione di servizi di ristorazione al di fuori delle ore di apertura del museo, richiedeva un accesso separato e facilmente chiudibile, da qui la scelta di utilizzare le scale come elemento di collegamento verticale e non le passerelle.

© Davide Capellero, Pietro Bongiovanni

Per la quinta scenica, si è voluto ricreare l’effetto di una allea alberata, dove il tronco è ripreso dai pilastri dettati dal modulo progettuale, mentre la percezione della chioma è dato dal particolare trattamento del corten. Si è optato per l’utilizzo di  una seconda pelle, che contiene il volume. La foratura (che si infittisce verso l’alto) ha lo scopo di far confluire maggiore lu­minosità all’interno, e di alleggerire il prospetto sul giardino. I colori di serie, metallici, con sfumature can­gianti, rugginose e terragne aumentano la sensazione di ritmo. Da qui la scelta del Cor-Ten traforato, come materiale per ricoprire il nuovo organismo architettonico. La scelta conferma l’idea di fondo, che ispira tutto il progetto e che vuole operare un intervento rispettoso della qualità formale del contesto aulico, delle sue complesse geometrie e dei suoi materiali, capaci di perdurare nei secoli. Ci si sottrae ad un raffronto e si ricorre ad un materiale, che non ha niente di monumentale, non è materiale “nobile” e non può dar vita ad un or­ganismo architettonico che possa insi­diare i veri protagonisti della scena. Solo in seconda battuta, si è optato per una foratura a profilo di foglia, per richiamare l’idea dell’allea alberata. (Si è consapevoli che non basta il profilo della foglia per un immediato richiamo al contesto :)

© Davide Capellero, Pietro Bongiovanni

Si è cercato di accomunare le due “scatole” al piano superiore, pur avendo oggettivamente funzioni distinte, tramite l’utilizzo di una superficie vetrata. Pur non avendo ottenuto un risultato omogeneo, si è cercato di mediare tra l’aspetto e la funzione insediata all’interno di questi due volumi, dando maggiore spessore alla seconda. Per i materiali, quello che puoi aver preso per legno, sono elementi in corten declinati per i vari utilizzi (pavimentazione, elementi di finitura). Da qui si possono considerare 4 distinti materiali: pietra, vetro, corten e acciaio, mentre per le soluzioni tecnologiche sono sempre 4: le superfici traforate del corten e il curtain  wall utilizzate nel piano terra, mentre al secondo piano la parete ventilata e il volume vetrato. Punto di debolezza è sicuramente il secondo piano, in quanto non si è riusciti a rappresentare al meglio la nostra idea effettiva (una maggiore riflessione delle superfici vetrate), dando così un senso di discontinuità. Nonostante questo, a nostro avviso ci sembra di aver progettato un edificio non totalmente omogeneo ma funzionale e soprattutto ben inserito nel contesto stratificato in cui si trova.

…continua alla pagina 3 (clicca sotto)

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