contesto

[omissis] | davide tommaso ferrando

Forse più importante del contesto è l’idea di lavorare sul lato dell’entropia.

Credo che l’idea di frammento sia molto simile all’idea di metafora. La metafora è qualcosa di quasi sempre più grande di se stessa. Quasi tutte le opere d’arte sono un microcosmo e sono riproduzioni frammentarie di qualcosa di molto più grande. Si dà il caso che anche l’opera di architettura sia come questa metafora, indipendentemente da tutto, indipendentemente dal suo aspetto. […]

Questa visione dell’architettura come frammento è inevitabilmente contestuale, l’architettura è contestuale per natura: è molto difficile immaginare una buona architettura che non faccia riferimento all’immanente e a molti degli elementi ad essa prossimi. Chissà che non sia la cosa più essenziale. Penso che attualmente forse più importante del contesto sia l’idea di lavorare sul lato – così mi piace dirlo – dell’entropia, non sul lato di ciò che è organizzato bensì sul lato di ciò che è organizzato per essere metabolizzato, “metamorfosato” – questa sarebbe la parola adeguata – in altra forma, a partire da forme già realizzate. Questo è inevitabile perché il mondo in questo momento mostra di essere completamente costruito: non esiste nulla che sia natura vergine. Ad esempio, nel lavoro di Gordon Matta-Clark è molto chiaro che si sta intervenendo su un’architettura già realizzata, sta lavorando alla sua distruzione ma al tempo stesso sta costruendo. È ciò che chiamo lavorare sul lato dell’entropia, cioè non sull’informazione, non sull’organizzazione, ma sui passi successivi verso la disorganizzazione, la distruzione parziale, il che non significa però creare un nuovo tipo di costruzione, per quanto abbia l’apparenza di qualcosa di nuovo oltre che di già compiuto. L’architettura lavorerà ogni volta in questo senso. […]

Carlo Scarpa realizza in gran parte interventi su architetture già realizzate, crea trasformazioni. C’è nell’opera di Scarpa una certa simbiosi, un certo parassitismo: Palazzo Abatellis a Palermo, il Museo di Castelvecchio a Verono sono opere in un interno, sono trasformazioni, metamorfosi; in questo senso la sua opera è anche esemplare per il futuro. Vale a dire che come architetto è capace di prendere un oggetto trovato, per certi versi un ready-made, e di dargli un significato nuovo senza per questo che cessi di essere un’opera assolutamente nuova e al tempo stesso di mantenersi esente da estraneità all’antico. Credo che in ciò stia una delle grandi capacità di Scarpa, che faccia sicuramente parte della sua genialità […], perché egli fa sempre riferimento a un’architettura immanente.

ALESSANDRO SCANDURRA, Intervista a Juan Navarro Baldeweg, in ID., Juan Navarro Baldeweg, Umberto Riva, Carlo Scarpa e l’Origine delle Cose, Marsilio, Venezia, 2011, pp. 31-33.

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In  architettura, proprio come avviene con il colore, si può procedere per contrasto o per affinità.

Credo sia arrivato il momento di riappropriarci di una visione a 360 gradi del nostro lavoro, invece di continuare a guardarlo da una angolazione ridotta. […] Nei progetti per i campus universitari, in cui diverse strutture sono preesistenti, come le rocce intorno a una casa di Frank Lloyd Wright, queste influenzano, attenuano o comunque condizionano qualsiasi cosa si costruisce. Nel caso dell’auditorium del MIT, ad esempio, e della vicina cappella, molto tempo e molto impegno sono stati spesi per mettere in relazione questi nuovi edifici con quelli adiacenti. In  architettura, proprio come avviene con il colore, si può procedere per contrasto o per affinità. Questa è la situazione, ma le cose non sono sempre così semplici.

In altri casi, sempre nei campus universitari, mi concentro soprattutto sulla possibilità di coniugare il linguaggio moderno della nostra architettura con le costruzioni circostanti più antiche. Francamente non vedo molti dei miei colleghi assumersi questa responsabilità. […] Faccio un esempio. Qualche giorno fa ho visto un campus universitario in cui un architetto moderno molto in gamba ha realizzato un progetto che si armonizza con gli edifici eclettici circostanti. In effetti, ha fatto un ottimo lavoro di collegamento tra vecchio e nuovo e il suo è un edificio molto interessante. Ma si tratta davvero di un edificio significativo? E questo è il punto su cui il progetto può cadere. Non ci sono solo le proporzioni, i materiali, i volumi e la pianta; tutto ciò va pensato in rapporto al contesto. E devi anche essere un costruttore della tua epoca, orgoglioso di esserlo. Non mostrare alcuna debolezza. […]

Devo dire che i mattoni della cappella si armonizzano perfettamente con l’insieme. La cappella era troppo piccola per distinguerla completamente dal resto. Ciò che ora la differenzia dal contesto è il volume. Ci si potrebbe chiedere: una cappella rettangolare sarebbe stata più adatta? Si sarebbe armonizzata meglio con gli altri edifici? O avremmo forse dovuto usare false finestre per adattarla agli altri edifici? Si tratta di una costruzione completamente diversa dalle altre per tipo e funzione. Tutte le costruzioni con cui deve rapportarsi sono costituite da muri di mattoni punteggiati da piccole finestre. Ma la cappella non aveva alcun bisogno di simili aperture, perciò era impossibile creare un collegamento uniformando le superfici. Inoltre, gli edifici immediatamente circostanti non sono di grande qualità e potrebbero anche essere demoliti, come spero. Scegliendo la forma rotonda, creando un rapporto tra superficie curva e superfici piane – in qualche modo separate da loro – adoperando lo stesso materiale, solo più resistente nel caso della cappella, credo di aver trovato una buona soluzione.

EERO SAARINEN, Intervista concessa a John Peter, 1955, 1958, in «Casabella», n° 800, aprile, 2011, pp. 5-7.

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Non esiste enunciato libero, neutro e indipendente; ma sempre un enunciato che fa parte di una serie o di un insieme.

Un enunciato ha sempre dei margini affollati da altri enunciati. Questi margini si distinguono da ciò che normalmente si definisce come «contesto» – reale o verbale – cioè dall’insieme degli elementi di situazione o di linguaggio che motivano una formulazione e ne determinano il senso. E se ne distinguono proprio nella misura in cui lo rendono possibile […].

Il campo associato che fa di una frase o di una serie di segni un enunciato, e che permette loro di avere un contesto determinato, un contenuto rappresentativo specifico, forma una trama complessa. Anzitutto è costituito dalla serie delle altre formulazioni all’interno delle quali l’enunciato si iscrive e di cui costituisce un elemento […]. È costituito anche dall’insieme delle formulazioni a cui l’enunciato si riferisce (implicitamente o no) sia per ripeterle, sia per modificarle o adattarle, sia per opporvisi, sia per parlarne a sua volta; non c’è enunciato che in una maniera o in un’altra non ne riattualizzi degli altri […]. È costituito anche dall’insieme delle formulazioni di cui l’enunciato predispone l’ulteriore possibilità, e che possono venire dopo di lui come sua conseguenza, o sua naturale successione, o sua replica […]. È costituito infine dall’insieme delle formulazioni di cui l’enunciato in questione condivide lo statuto, tra cui prende posto senza considerazioni d’ordine lineare, con cui si cancellerà o con cui invece verrà valorizzato, conservato, sacralizzato e offerto, come oggetto possibile, a un discorso futuro […]. In generale, si può dire che una sequenza di elementi linguistici è un enunciato soltanto se è immersa in un campo enunciativo in cui compare come elemento singolo.

Non esiste enunciato libero, neutro e indipendente; ma sempre un enunciato che fa parte di una serie o di un insieme, che fa la sua parte in mezzo agli altri, si appoggia su di loro e se ne distingue: esso si integra sempre a un meccanismo enunciativo, in cui ha una parte, per leggera ed infima che sia.

MICHEL FOUCAULT , L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano, 1997 (Parigi, 1969), pp. 130-132.

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