La città interrotta [dialogo critico]

AM: Caro Davide, ora non posso non farti una domanda…

Immaginavo che, prima o poi, sarebbero intervenuti i termini “ambiente” / “economia” / “energia”. Pensi davvero che sia il valore della sostenibilità a far nascere un nuovo tipo di architetto, magari con un “impegno di intellettuale e di studioso”? Tra poco inizieremo a discutere nelle facoltà dell’opera di Mario Cucinella (uno a caso, sia chiaro) “come opera che è destinata a dare ordine e forma alla città e a incarnare, per così dire, i fondamenti e le aspirazioni della vita civile”?

DTF: caroAndrea, bella domanda (!) Provo a risponderti in 2 passi:

prima di tutto, citando Mies van der Rohe, che nel 1928 scriveva che «L’architettura è il confronto spaziale dell’uomo con il proprio ambiente e l’espressione di come l’uomo si affermi in esso e di come sappia padroneggiarlo». Mies, come sicuramente sai, ha sempre affermato che l’architettura è l’espressione spaziale dello spirito del tempo: il fatto che lui lavorasse in maniera così “esclusiva” con materiali di produzione industriale, e che cercasse di progettare architetture il più possibile “riproducibili”, dipende infatti dal fatto che identificasse la “tecnologia” come la caratteristica più rilevante del tempo in cui lui operava, e che dunque considerasse suo compito preciso, in quanto uomo e architetto del suo tempo, di lavorare con e su di essa. Oggi, nel 2012, Mies farebbe sicuramente edifici diversi, non solo perché sono cambiate le tecniche e i materiali da costruzione, ma anche perché è cambiato lo “spirito del tempo”, e cioè sono cambiati i discorsi, le idee fondamentali della nostra civiltà, che è diversa da quella della prima metà del XX secolo. Una delle idee che sono cambiate, da allora ad oggi, è proprio quella di “ambiente”, al cui interno noi comprendiamo tutta una serie di concetti – come sostenibilità, sviluppo, sfruttamento delle risorse, impronta ecologica etc. – che Mies non poteva conoscere, perché ancora non esistevano. Mi sembra logico, dunque, che per “confrontarci spazialmente” con una idea di ambiente che si costruisce ANCHE su quei concetti, sia inevitabile prenderli in considerazione, inserendoli all’interno del processo progettuale.

Non sono un fan di Cucinella, ma trovo che dopo l’Agenda 21 di Rio de Janeiro, il protocollo di Kyoto, il Summit di Copenhagen e la conferenza sul clima di Durban, fare architettura senza porsi, per partito preso, il problema di come questa massa critica (e sempre più urgente) di discorsi, idee e questioni aperte possa entrare nell’architettura – così come il calcestruzzo armato e l’acciaio ed il curtain wall e l’aria condizionata ed il tempo e la storia e la memoria e la monumentalità etc. furono fatti entrare dagli nell’architettura del Novecento – sia un atteggiamento reazionario ed in evidente ritardo coi tempi. Mies, ne sono certo, se ne occuperebbe in maniera egregia. Ora, se le tue perplessità sono legate all’abuso promozionale che viene spesso fatto del termine “sostenibilità”, ed al diffuso fraintendimento per cui basta progettare una casa-clima in classe A+ per fare buona architettura, allora sono d’accordo con te: la sostenibilità è una fuffa, e rischia di disperdere ai quattro venti il valore dell’architettura. Il problema però, è evidente, non sta nell’idea di “sostenibilità” – che è importante, è attuale, è e sarà sempre più parte dei nostri discorsi – ma nell’uso che di essa viene fatto. Poi, diciamocelo, l’architettura – almeno per il momento – non può essere assolutamente “sostenibile” (basta pensare a quanto petrolio viene utilizzato per produrre un edificio, tra materiali, macchinari, trasporti etc): ma sicuramente, può essere più ecologicamente efficiente.

E qui arriviamo al secondo punto: in che modo l’efficienza ecologica può entrare a far parte della progettazione urbana? Il tema ambientale può diventare il motore di una nuova forma di società civile? Il tema è talmente attuale che l’ultima edizione di Europan è stata interamente dedicata ad esso, con risultati più o meno coerenti, a dimostrazione di come ci sia ancora molto da lavorare a riguardo. Ho avuto modo di analizzare con calma un buon numero di progetti di Europan 11, e mi ha felicemente sorpreso notare come l’idea di “sostenibilità” sia stata declinata da alcuni dei vincitori in maniere diverse e sapienti (nonostante la loro giovane età): maniere che poco hanno a che vedere con le sezioni energetiche di Cucinella, ma che molto hanno a che fare con idee di riordino urbano, di riduzione dell’impatto e delle dimensioni degli interventi, di fomento di stili di vita comunitari più responsabili, di reinvenzione del rapporto tra sfera privata e sociale. Per cui, se mi chiedi se questi temi possano costituire un valore per la progettazione architettonica ed urbana di oggi, io ti rispondo di “si”: ma a patto che siano consapevolmente trasformati in strumenti dell’architettura e non semplicemente utilizzati come slogan. Dove con “consapevolmente” intendo indicare la necessità di instaurare attraverso la progettazione un rapporto chiaro e critico con il contesto (naturale, culturale e sociale) presente, ma anche con quello passato, del quale non si può far tabula rasa, anzi, dal quale devono essere tratti i valori a partire dai quali osservare la nostra realtà – tenendo però sempre ben presenti le sue caratteristiche specifiche.

Mi rendo conto che il tema è troppo complesso per esser trattato così rapidamente, e del resto io non sono uno specialista in materia: spero soltanto di avere risposto, almeno in parte, alla tua domanda :)

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