La città interrotta [dialogo critico]

Davide Tommaso Ferrando: Caro Andrea, mi piacerebbe svolgere una breve analisi critica del tuo progetto, della cui pubblicazione su zeroundicipiù.it non sono ancora totalmente convinto, proponendoti alcune questioni che a mio parere sono rimaste irrisolte, e chiedendoti conseguentemente – se ne avrai voglia – di fornirmi qualche delucidazione in merito, in modo da darmi più elementi per poter valutarne il valore effettivo.

In primo luogo, mi incuriosisce l’uso della parola “piazza” che tu fai all’interno del testo descrittivo: sebbene il richiamo al tipo del “foro” sia più che evidente, e sebbene il tuo progetto conferisca al luogo un tema collettivo chiaro e forte, mi domando se uno spazio “stretto e lungo” come quello da te configurato, rigidamente contenuto tra due file di portici lungo i due lati maggiori, ma aperto lungo i due lati minori, possa coerentemente definirsi “piazza”, o se invece altri termini come ad esempio “strada porticata interrotta” non siano più appropriati.

E proprio la “interruzione”, o per meglio dire la frammentazione, della sequenza urbana nella quale il tuo progetto pretende di inserirsi, mi sembra il secondo fattore problematico della proposta. Se la ricucitura trasversale del tessuto viario, grazie al tunnel sotterraneo, è un innegabile punto a suo favore, l’assialità urbana alla quale il progetto sembra, negli studi preparatori, voler partecipare longitudinalmente, è invece un evidente pretesto che non trova alcuna verifica sul campo reale. Sia per l’evidente disassamento del lungo porticato rispetto alla via di cui dovrebbe costituire il proseguimento; sia per la mancanza di qualsiasi asse – ottico o fisico – che ne continui (idealmente o realmente) la tensione lineare all’interno e/o al di là del parco.

Una ultima considerazione riguarda il rapporto che si instaura tra il tuo progetto ed il contesto più prossimo: il modo in cui la strada porticata comincia e termina mi sembra infatti irrisolto dato che, in entrambi i casi, l’impressione è quella di una brusca e repentina “interruzione” di una regola formale virtuosamente delineata. Tanto laddove il progetto si inscerisce diagonalmente e per “erosione” nel tessuto viario ad ovest, quanto laddove il portico incontra il lago senza riuscire però, come ci si aspetterebbe, a costruire un ennesimo punto di interesse lungo l’asse pedonale, questa volta vuoto e non pieno, il cui valore sarebbe senza dubbio pari a quello delle sale del Centro Congressi. Paradossalmente, il tuo propgetto – geometricamente misurato – sembra considerare i poli fisici che definiscono il contesto in cui si colloca come “incidenti di percorso”, non riuscendo così ad integrarsi realmente con essi.

In sintesi, mi sembra che il progetto sia molto più “introverso” di quanto non dichiari: forse a causa della sua difficoltà di adattare la propria norma alle eccezioni che costituiscono i suoi punti di aggancio con la realtà. Seppur ordinato, è ancora un frammento che non riesce ad entrare a far parte di una sequenza.

Andrea Minella: Caro Davide, rispondo molto volentieri, forse un po’ troppo sinteticamente, alle questioni critiche che mi poni.

Riflettendo su “foro”, “piazza”, “strada porticata”, in questa esatta sequenza, la prima cosa a cui ho pensato è identità e variazione. All’interno di questi tre termini riconosco elementi costruttivi comuni, che potrebbero portare alla costituzione di una famiglia, di un tipo; all’interno di questo tipo, variazioni ne modificano la forma ma non le relazioni che intercorrono tra gli elementi costruttivi. A partire da questo concetto, mi sembra che il progetto sia riuscito a gettare una base di partenza per una configurazione coerente dello spazio civile, assumendo così il carattere di piazza, al di la di “misurazioni” come “corto o lungo”, “stretto o largo”.

Ciò che mi ha sempre posto domande critiche è la progettazione di uno spazio collettivo e la sua configurazione: pensa alle pescherie di Rimini, due file allineate di pilastri e una copertura, al di là di qualsiasi dimensione, larghezza, lunghezza, scala, assumono il ruolo di architettura civile, indifferente alla quotidianità e alla variazione d’uso, ma sempre spazio collettivo.

…un discorso spezzato, se in quest’incrinatura esso non mima espressionisticamente il disordine, ma esprime … la tensione a cogliere un ordine… [Claudio Magris]

Non ho mai considerato quella «brusca e repentina interruzione» con un’accezione negativa. Ritengo che ogni progetto debba esplicitare il proprio intento insieme alla propria ipotesi teorica, deve costituire una critica e un’alternativa. Voler a tutti i costi legarsi attraverso assi ottici o fisici a quel contesto contemporaneo, privo di regole costruttive,«al di fuori da ogni regola elementare che fissi alcuni principi di costruzione» [Antonio Monestiroli], è impensabile. Collegare la narrazione di un progetto a fittizie occasioni o vicende bloccherebbe la formulazione dell’ipotesi di città come struttura, la vera occasione progettuale.

…continua alle pagine 3 e 4 (clicca sotto)

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