collage

[omissis] | davide tommaso ferrando

Qualunque sia l’energia naturale della mente, essa non può formare molte combinazioni con poche idee.

[…] tra gli architetti solo il Grande Giano Bifronte Le Corbusier […] ha mostrato una qualche simpatia per questo genere di cose. I suoi edifici (ma non i suoi piani urbanistici) abbondano dei frutti di un processo più o meno equivalente a quello del collage. Si importano vistosamente oggetti ed episodi che, pur conservando le sfumature della fronte e dell’origine prima, acquisiscono grazie al nuovo contesto un impatto completamente inedito. Nello studio di Ozenfant, ad esempio, ci troviamo di fronte a una quantità di allusioni e riferimenti che paiono tutti accostati con la tecnica del collage.

Non è difficile trovare altri esempi di Le Corbusier collagiste: l’attico De Bestegui (troppo ovvio), il panorama dei tetti – navi e montagne – di Poissy e Marsiglia, ciarpame vario alla Porte Molitor e al Pavillon Suisse, un interno di Bordeaux-Pessac e, in particolare, il Padiglione smontabile Nestlé del 1928.

Il collage […] essendo spesso un metodo per rivolgere l’attenzione agli scarti del mondo, per preservarne l’integrità e dar loro dignità, per mescolare concretezza e cerebralità, essendo una convenzione e uno strappo alle convenzioni, funziona per forza di cosa inaspettatamente. Un metodo rozzo, «una sorta di discordia concors, una combinazione di immagini dissimili oppure la scoperta di un possibile rapporto occulto tra immagini apparentemente distanti tra loro»: le parole di Samuel Johnson a proposito della poesia di Donne, che potrebbero essere usate a proposito di Stravinskij, Eliot, Joyce e gran parte del programma del cubismo sintetico, ci dicono come il collage dipenda completamente dalla manipolazione di norme e ricordi, e da uno sguardo retrospettivo.

«L’arguzia, come sappiamo, è l’accoppiamento inaspettato di idee, la scoperta di possibili rapporti occulti tra immagini apparentemente lontane tra loro; un’espressione intelligente, perciò, presuppone un accumulo di conoscenze; una memoria piena di nozioni che l’immaginazione può evocare per comporre nuovi insiemi. Qualunque sia l’energia naturale della mente, essa non può formare molte combinazioni con poche idee, come non si possono far nascere molte melodie da poche campane. Il caso a volte può produrre un paragone felice o una contrapposizione suggestiva; ma questi doni della sorte non sono frequenti e chi non possiede niente di proprio e si condanna allo spreco, deve vivere di prestiti o di furti»1.

È Samuel Johnson a fornirci ancora una volta una definizione migliore di quelle che sapremmo dare noi di qualcosa di molto simile al collage. Le sue osservazioni descrivono uno scambio in cui tutti gli elementi conservano un’identità (la quale si arricchisce), in cui i rispettivi ruoli si possono continuamente trasporre, in cui l’illusione si concentra su un punto che fluttua costantemente insieme con l’asse del reale: qualsiasi approccio all’utopia e alla tradizione dovrebbe essere caratterizzato da un atteggiamento di questo tipo.

1 Samuel Johnson, in «The Rambler», n. 194 (25 gennaio 1752).

COLIN ROWE, FRED KOETTER, Collage City, in «The Architectural Review», CLVIII, agosto 1975, n. 942, pp. 66-91.

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