Dall’introduzione di Marco Biraghi:
Che le parole abbiano qualcosa a che fare con l’architettura – parole scritte, ponderate, non levia verba, volatili come quelle delle «brevi dichiarazioni» televisive o delle interviste sui giornali, o come quelle pronunciate nel corso degli infiniti pour parler di cui si nutre inesauribilmente l’epoca contemporanea –, è qualcosa di cui ormai si potrebbe legittimamente dubitare. Al giorno d’oggi, piuttosto, le «parole» dell’architettura sono considerate i fatti; e i «fatti», in ambito architettonico, sono eminentemente costruttivi. Pertanto, laddove non vi siano fatto costruiti, sembra facile inferire che non vi sia nulla in assoluto. E in effetti, analizzando la povertà dell’odierno panorama della pubblicistica d’architettura a carattere teorico si sarebbe tentati di sottoscrivere tale poco incoraggiante diagnosi.
La condizione di crisi in cui la cultura architettonica si trova attualmente, per quanto possa riflettere la situazione di crisi più generale della cultura, possiede però proprie ragioni specifiche che si lasciano meglio comprendere se osservate storicamente. È proprio ricorrendo il dibattito architettonico dal secondo dopoguerra in avanti, infatti – sia pure per sommi capi, come necessariamente imposto dalla forma antologica qui adottata – che è dato individuare le cause di un «malessere» che risulta assai meno casuale e passeggero di quanto si sarebbe portati a pensare.
Inutile piangere il tempo «perduto». Ma niente affatto superfluo comprendere le condizioni specifiche che lo hanno reso possibile. Se queste infatti rimangono di là dell’essere attuabili, risultano comunque sempre almeno pensabili.
Ciò naturalmente non deve indurre a trascurare lo stato di fatto reale. Nell’epoca odierna tutto (e la teoria e la critica non fanno certo eccezione) si trasforma inesorabilmente in merce. In una società nella quale ogni cosa si compra e si vende, anche delle teorie architettoniche – abbastanza prevedibilmente – esiste un mercato. Il loro sussistere dipende quindi in larga parte dalla maggiore o minor convenienza. Se ha un senso al presente dotarsi di una teoria, è che essa può costituire un eventuale vantaggio, a patto però che non si trasformi in un intralcio. Per questa ragione, per molti architetti contemporanei la teoria si riduce a qualcosa di simile a un gadget, di cui all’occorrenza servirsi, o di cui altrettanto a cuor leggero fare a meno.
Contro questi effetti collaterali – per quanto indesiderati possano essere – non vi è una ricetta. Ben più spaventosa, comunque, è la prospettiva contraria: quel vuoto davvero abissale che spalanca di fronte al nostro futuro chi dell’architettura tenta di fare una disciplina meramente esecutiva, una pratica immediatamente traducibile in un fare, in un costruire. Contro questo vuoto angosciante e insidioso – e tanto più poi perché neppure così invisibile e silenzioso – non si può che cercare di far risuonare parole: parole pensate, sensate. A ciò si è aspirato nel predisporre questa antologia.
Indice
Parole contro il vuoto (di Marco Biraghi) | p. IX
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PARTE PRIMA
La verifica del Movimento Moderno: manifesti e dubbi (di Giovanni Damiani) | p. 5
La costruzione dell’Associazione per l’architettura organica a Roma (di Bruno Zevi) | p. 11
Programma: Domus, la casa dell’uomo (di Ernesto Nathan Rogers) | p. 14
Riaffermazione degli scopi dei Ciam (di Sigfried Giedion) | p. 18
Le preesistenze ambientali e i temi pratici contemporanei (di Ernesto Nathan Rogers) | p. 22
Manierismo e architettura moderna (di Colin Rowe) | p. 31
Il neo-brutalismo (di Alison e Peter Smithson) | p. 58
Regionalismo e architettura moderna (di James Stirling) | p. 59
Architettura e ideologia (di Giulio Carlo Argan) | p. 65
Passi verso una disciplina configurativa (di Aldo Van Eyck) | p. 75
A Home is not a House (di Reyner Baham) | p. 100
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PARTE SECONDA
Guardare (oltre) la crisi (di Giovanni Damiani) | p. 115
Un’architettura non semplice: un manifesto gentile (di Robert Venturi) | p, 121
Considerazioni sulla morfologia urbana e tipologia edilizia (di Aldo Rossi) | p. 123
La forma del territorio (di Vittorio Gregotti) | p. 140
Architettura zoom e architettura «vera» (di Peter Cook) | p. 143
Design d’invenzione e design d’evasione (di Superstudio) | p. 146
Introduzione a Teorie e storia dell’architettura (di Manfredo Tafuri) | p. 151
Tutto è architettura (di Hans Hollein) | p. 162
Elementi e costruzione. Note sull’architettura di Aldo Rossi (di Ezio Bonfanti) | p. 167
Verso una comprensione del concetto di forma in architettura (di Peter Eisenman) | p. 185
Frontalità versus rotazione (di Kenneth Frampton) | p. 198
Collage City (di Colin Rowe e Fred Koetter) | p. 208
Neo-funzionalismo (di Mario Gandelsonas) | p. 251
Post-funzionalismo (di Peter Eisenman) | p. 255
Genius Loci (di Christian Norberg-Schulz) | p. 262
«L’architecture dans le boudoir» (di Manfredo Tafuri) | p. 277
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PARTE TERZA
Pensare una teoria nell’era postmoderna (di Giovanni Damiani) | p. 319
Il «pop» insegna (di Denise Scott-Brown) | p. 327
La Presenza del Passato (di Charles Jencks) | p. 336
Urbanistica e delirio (di Rem Koolhaas) | p. 339
La sola via per l’architettura (di Maurice Culot e Leon Krier) | p. 354
De-, Dis-, S- (di Bernard Tschumi) | p. 363
Architettura decostruttivista (di Philip Johnson) | p. 371
La traduzione dell’architettura, la produzione di Babele (di Mark Wigley) | p. 374
Architettura e politica nell’era reaganiana: dal postmodernismo al decostruttivismo (di Mary McLeod) | p. 403
Metropoli della mente (di Massimo Cacciari) | p. 446
Bigness ovvero il problema della Grande Dimensione (di Rem Koolhaas) | p. 454
La pelle e le ossa. Forme piegate da Leibniz a Lynn (di Anthony Vidler) | p. 463
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Fonti | p. 481
Riferimenti
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